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L'omelia di don Guglielmoni in memoria di mons. Stefano Bolzoni

Giovedì 13 aprile è stata celebrata la s. Messa in memoria di mons. Stefano Bolzoni, nel terzo anniversario della scomparsa e nel sessantesimo dell'ordinazione sacerdotale. Nella chiesa Collegiata insieme al parroco don Luigi Giglielmoni hanno concelebrato don Davide Grossi e don Renato Santi, compagno di don Stefano in tutti gli anni del seminario. Il coro parrocchiale, con all’organo mons. Pier Giacomo, ha accompagnato la liturgia, nella quale è stato ricordato anche il fratello don Tarcisio.

Nell’omelia il parroco ha ricordato: “Don Stefano in 50 anni cosa avrà raccolto e custodito nel suo cuore? Quali gioie e quali pesi avrà portato via con sé? Quali progetti incompiuti? Quali "consegne" avrebbe voluto lasciare, al di là della solidità umana e spirituale che manifestava?". Ad esempio, in occasione dei 40 anni di servizio in questa Comunità, in un'intervista del 2010 don Stefano riconosceva che ormai siamo anche noi "terra di missione", spesso con abbondante semina e con scarso raccolto, e che ogni prete deve riannodare con l'Amore (con l'A maiuscola) i fili della sua missione. 
Alle domande di/Scanio Casali, don Stefano rispondeva: "Mi piacerebbe che la mia attività fosse così definita: quarant'anni di catechesi. Ne ho fatta tanta. Mantenendo intatta la struttura e l'organizzazione della parrocchia, ho cercato di far crescere la coscienza di essere popolo di Dio per una missione. L'argomento di cui ho parlato di più penso proprio sia la Chiesa." Per questo, don Stefano rifiutava il modello "Peppone - don Camillo" nel rapporto della Chiesa con lo Stato. Entrambi infatti, pur nella loro autonomia, sono chiamati a collaborare per il bene comune. 
E di fronte alla sfida dell'immigrazione, in quegli anni molto avvertita, intravedeva un impegno comune: "Partire dalla fede e non dal portafoglio", cioè chiedersi: "Che cosa vuole dirci il Signore con l'arrivo di tanti forestieri?". E' il segno di un pastore che non si lascia bloccare dai problemi ma cerca la volontà di Dio nelle situazioni inedite che la storia presenta di continuo. Gli piaceva l'immagine del parroco come seminatore. E aggiungeva: "Chi semina dona, non gli resta in mano niente. Deve solo aspettare con pazienza la crescita del seme. So che sta nascendo una cosa nuova. Questo mi riempie di gioia". Quali erano gli ambiti in cui intravedeva dei germogli? La disponibilità dei volontari nella Caritas, il coinvolgimento delle famiglie nell'iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi, l'animazione dell'Oratorio. 
Alla domanda "Cosa auspica dai suoi parrocchiani per il futuro?", rispondeva lapidario: "Che diventino quello che sono: Chiesa! Per tutti l'obiettivo è diventare "Chiesa", popolo riunito, mosso dalla fede e vivo nella carità. L'aria che tira va invece nella direzione di una religiosità egoista, tesa a soddisfare esigenze personali e determinata a non voler diventare comunità. Non sarà facile scalfire tanta sicurezza, basata sulle proprie emozioni e non più sulla Parola di Dio che convoca e riunisce. Anche di domenica si sceglie la Messa solo in base al criterio dell'essere più liberi e tranquilli, senza dovere niente a nessuno. "Non si può servire a due padroni", afferma Gesù. Non è possibile essere contemporaneamente a Messa, in palestra o al supermercato". Sono sue parole. Nel novembre 2016 spiegava che “l'indifferenza è solo una difesa e non è degna di un cristiano che vuole essere corresponsabile nella Chiesa". E già nel 2011 don Stefano affermava che oggi si identifica il bene con quello che ci fa comodo e male con ciò che intralcia i nostri capricci. Chi apertamente richiama la Parola di Dio "non giudica ma viene giudicato da chi si ritiene migliore e vorrebbe far tacere, se fosse possibile, ogni riferimento al vero bene e al vero male. Erode insegna!". 
Sono certo che tanti di voi potrebbero continuare nel citare esempi o frasi di questo Pastore. So bene di aver ricevuto, come parroco, un'eredità complessa e stimolante. So però che la Chiesa è viva e in cammino, non è un museo. Allora ogni battezzato, come ogni pastore, vive un frammento della storia della Chiesa, si inserisce in un "prima" e si apre a un "dopo". Don Stefano, da prete intelligente e a totale servizio della Chiesa, sarebbe lui il primo a invitarci a guardare avanti e a collaborare attivamente per costruire insieme la Parrocchia, in missione in questo territorio. Alla gratitudine abbiniamo allora l'impegno generoso di tutti. E' il meglio che possiamo fare".