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Articolo principale (30)

«In cammino sotto la guida dello Spirito»

«In cammino sotto la guida dello Spirito»

 

La vita cristiana si precisa, senza confusione, come vita in Cristo e vita nello Spirito santo. Si tratta di un cammino di lenta maturazione, di sequela dietro al Signore unico seguendo le sue tracce (cfr. 1Pt 2,21) e sotto la guida dello Spirito (cfr. Gal 5,16.25) che ci concede, in Cristo, di avere comunione con Dio Padre (cfr. Ef 2,18). In particolare, l’azione dello Spirito nella vita dei discepoli del Signore si esprime in una molteplice attività che potremmo riassumere attorno a quanto l’evangelo stesso ci documenta.

La prima azione dello Spirito, anzitutto, è quella di generare uomini e donne ad essere figli di Dio ovvero uomini e donne spirituali, che conoscono e hanno il pensiero di Cristo. Così il credente è reso dimora di Dio, tempio dello Spirito (cfr. 1Cor 3,16; Rm 8,9), ma anche sacerdote chiamato ad offrire la liturgia della vita come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (cfr. Rm 12,1).

In secondo luogo, lo Spirito intercede nel cristiano. È lui che suggerisce come pregare e che cosa domandare davanti a Dio, perché, annota Paolo, noi nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente chiedere (cfr. Rm 8,26-27). Vero maestro interiore degli umili pellegrini dell’assoluto, lo Spirito insegna ai discepoli l’arte difficile della preghiera, li inizia all’ascolto della Parola e li conduce a fare della propria vita un ’amen davanti al Signore. È lo Spirito che rende il cuore del discepolo ‘ascoltante’ (cfr. 1Re 3,9) ovvero sottomesso all’Unico che parla e pone sulle sue labbra l’invocazione di una rinnovata pentecoste per la chiesa e per l’umanità: «Vieni, Signore» (Ap 22,17), ma anche la supplica che non conosce paura e angoscia e si volge a Dio chiamandolo «Abba’, Padre» (cfr. Rm 8,15; Gal 4,6).

In terzo luogo, lo Spirito rende testimoni (cfr. Lc 24,48-49; Gv 15,26-27). E ciò avviene mediante l’intelligenza delle Scritture che egli mette in noi come dono, affinché possiamo discernere nelle lettere morte della Bibbia, la Parola vivificante del Signore (cfr. Eb 4,12). Questo rende il discepolo servo della Parola con la vita. Lo Spirito rende testimoni i credenti ravvivando in essi la memoria della pasqua del Signore ossia il memoriale del giorno della Domenica quale esperienza centrale della vita cristiana, in cui l’unica mensa della Parola e dell’Eucaristia si offre come tavola alla quale il credente è convocato per mangiare e riprendere forza nel cammino. Soprattutto, lo Spirito rende il discepolo testimone senza ipocrisia donandogli il coraggio (parrēsia) di non vergognarsi dell’evangelo, di non temere le potenze effimere del mondo, di non preparare prima la sua difesa (cfr. Mt 10,19-20) secondo calcoli di convenienze, ma di essere testimone della risurrezione, orientando alle realtà ultime ed eterne. L’interminabile schiera dei martiri di ieri e di oggi per la causa di Gesù è eloquente narrazione della potenza dello Spirito, che non emette giudizi di condanna, ma che si fa appello alla conversione per trovare misericordia e perdono.

Infine, lo Spirito è dispensatore dei doni in vista dell’edificazione dell’unico corpo del Signore che è la chiesa (cfr. 1Cor 12,4 ss.). Gualtiero di S. Vittore annota: «Lo Spirito agisce nella mente dando l’intelligenza, agisce nel cuore dando l’amore, agisce in tutto il corpo dando la vita, agisce nelle singole membra dando la forza: l’intelligenza contro l’ignoranza, l’amore contro l’egoismo, la vita contro la morte, la forza contro la debolezza» (Discorso III, 1, in CCCM 30, p. 27). La molteplicità e ricchezza dei doni ordinati dallo Spirito nel corpo ecclesiale non contemplano possibilità di concorrenza, di invidia e di gelosia. Commenta Agostino: «Se ami, ciò che possiedi non è poca cosa. Se tu ami l’unità, tutto ciò che in essa è posseduto da qualcuno è posseduto anche da te. Bandisci l’invidia e sarà tuo ciò che è mio, e se io bandisco l’invidia sarà mio ciò che tu possiedi. L’invidia separa, la carità unisce». (Commento a Giovanni 32,8, in CCSL 36, p. 304)

Attorno al tema dello Spirito si gioca molto della qualità della nostra vita di fede personale ed ecclesiale. È lo Spirito, infatti, che ci conduce a scorgere nella Parola, nell’Eucaristia e nella Chiesa l’unico corpo del Signore in atto di dono ai suoi. Se ciò è vero, allora significa che quando la centralità dell’azione dello Spirito di verità è offuscata, si procede alla deriva verso tre rischi fondamentali.

Anzitutto, l’assolutizzazione della Scrittura. Senza la sapienza dello Spirito si opera una lettura fondamentalistica, aggressiva nei confronti del mondo esterno, incapace di dialogo e soprattutto di misericordia. L’ascolto delle Scritture diventa, allora, motivo di conflitto, di distanza, di giudizio e non di comunione. In secondo luogo, l’assolutizzazione dell’esperienza liturgica e sacramentale. Senza la sapienza dello Spirito si procede verso il cerimonialismo, verso il privilegio dell’emozionale, del miracolistico e dello spontaneismo celando autentiche patologie umane e spirituali. Infine, l’assolutizzazione dell’elemento ecclesiologico, che si ritraduce in una ‘nevrosi pastorale’, che si consuma nell’attivismo senza sosta, sostituendo il primato dell’evangelizzazione con strategie momentanee che rincorrono i criteri esclusivi dell’efficienza.

Suona, dunque, anche per noi l’invito alla sapiente vigilanza che ci rivolge la parola vivente del Signore; da un lato, l’esortazione del risorto che, rivolgendosi alle sette chiese dell’Apocalisse, conclude: «Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2,7); dall’altro, si fa concreto l’ammonimento di Paolo: «Non spegnete lo Spirito» (1Ts 5,19).

+ Ovidio Vezzoli

vescovo di Fidenza

"Niente è più come prima": il messaggio del Vescovo Ovidio per la Pasqua

«Niente è più come prima!». Questa affermazione compare da tempo sulle labbra di molti nascondendo dietro di sé una forma di rassegnazione e, al contempo, di nostalgia davanti all’ineluttabilità degli avvenimenti a livello nazionale e mondiale che ci sovrastano e nei confronti dei quali sperimentiamo tutta la nostra inadeguatezza e impossibilità a cambiarne l’orientamento. Da un lato, dunque, l’espressione «Niente è più come prima!» è giustificata dal corso degli eventi che interpellano la vita di ciascuno e i cui nomi sono molteplici: la congiuntura economica e sociale, le promesse elettorali puntualmente smentite, la presenza di conflitti bellici che nella loro complessità si profilano senza soluzione a breve termine, gli strascichi della pandemia nella quotidianità della vita delle persone, una aggressività verbale e fisica mai conosciuta prima, un inaspettato e meschino stato di conflittualità dentro e fuori la comunità ecclesiale. In questa prospettiva il «Niente è più come prima!» registra un dato di fatto davanti al quale non ci si può sottrarre né avviare un processo di rimozione come se nulla fosse accaduto; ciò si tramuterebbe solo in un grave atto di irresponsabilità, come del resto è stato ampiamente dimostrato dal patetico slogan «Andrà tutto bene!». D’altro canto, dichiarare che «Niente è più come prima!» può presentarsi come una opportunità a partire dalla quale è possibile ricominciare imparando con sapienza ciò che la storia di questo tempo ci ha insegnato. Se è vero che la storia è maestra di vita c’è solo da sperare che essa abbia a trovare alunni umili, obbedienti e aperti alla fatica del pensiero, rifuggendo da ogni omologazione di un linguaggio ovvio, logoro e scontato, incapace di lasciare una traccia.

È a questo punto che si innesta in modo pertinente e singolare l’annuncio evangelico e cristiano dell’evento della morte e risurrezione di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, che per la sua potenza ha sconfitto ogni forma di morte, ha fatto rifiorire il deserto dell’umanità affranta infondendo speranza nuova e ha inaugurato il trionfo della vita definitiva. L’apostolo Paolo, in tal senso, scrivendo alla comunità discepola dell’evangelo, che è in Colossi, lo ha ribadito in modo illuminante ed efficace: «Se, dunque, siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,1-2). L’ammonimento dell’apostolo non si presenta come un invito a fuggire dalle responsabilità che la storia ci affida, bensì a prospettare un orizzonte nuovo dal quale ripartire e discernere l’umano che ci appartiene. L’evento della morte e della risurrezione del Signore ha cambiato il volto della storia dell’umanità e veramente «Niente è più come prima!». Il cammino dei credenti e non è stato coinvolto in un mutamento radicale rivelatore di senso, che conduce a discernere il segno del tempo con lo sguardo di Dio misericordioso e compassionevole, fedele alle promesse della sua Parola.

Indirizzandosi alla comunità cristiana che è in Corinto già attorno al 52 d.C., Paolo ha cristallizzato la prima formulazione del “credo” storico evangelico in questa espressione: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3-5). L’affermazione del nucleo fondamentale della fede cristiana porta Paolo a concludere che «se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio» (1Cor 15,14-15). Pertanto, «Niente è più come prima!» diventa una dichiarazione evangelica che rinvigorisce la speranza cristiana; essa è profezia di un cammino rinnovato di vita; è appello a riprendere la via evangelica al fine di lasciarsi incontrare da Gesù il crocifisso e risorto dai morti, nelle Scritture spiegate e nel pane spezzato, nella Parola e nell’Eucaristia, fondamenta e ragioni ultime della missione evangelizzatrice della Chiesa nel mondo.

«Niente è più come prima!» non diventa lo slogan di una speranza illusoria e inconsistente, ma appello a ripartire dal Signore al quale appartengono le nostre vite, affinché l’umanità non smarrisca l’unico necessario che le riconsegna il senso autentico del vivere e del lottare perché la vita sia il sigillo prezioso impresso sul volto di una umanità rinnovata nell’amore. «Niente è più come prima!», alla luce dell’evento della risurrezione di Gesù di Nazareth non significa voltare pagina disattendendo la lezione del passato. Al contrario, l’affermazione si presenta come atto di assunzione di responsabilità per tutti, senza delega alcuna, affinché ogni agire concorra all’edificazione dell’unico corpo vivente del Signore, che è la sua Chiesa; essa è luogo di fraternità universale, esperienza di comunione priva di pregiudizi culturali, etnici e religiosi, tavola di dialogo e di ricerca della verità e della bellezza della vita in Cristo, nostra Pasqua di risurrezione.

+ Ovidio Vezzoli

Vescovo di Fidenza

Cristianesimo al tramonto?: il messaggio del Vescovo Ovidio per il Tempo di Quaresima

Quaresima 2023

Cristianesimo al tramonto?

 

L’interrogativo non è né banale né scontato. Si tratta di una saggia provocazione che interpella la nostra vita dei credenti in questo tempo. All’inizio del cammino quaresimale che il Signore ci concede di vivere nella sua misericordia è necessario sostare con pazienza, nel silenzio, nella preghiera e in ascolto della sua Parola per imparare a discernere il segno del tempo e, soprattutto, cosa chiede il Signore ai suoi discepoli oggi.

Veramente il cristianesimo è al tramonto della sua storia? Veramente la Chiesa brucia? Si può dichiarare finita l’epoca cristiana? Qualcuno afferma che, ormai, dopo l’esperienza della pandemia che ha coinvolto l’intero pianeta terra, immersi in una crisi economica che non sembra avere termine, prigionieri della follia di molteplici conflitti che conducono al macello di una catastrofe umana, anche il panorama del cristianesimo è mutato considerevolmente. I segni sono sotto gli occhi di tutti e permangono impietosi nel loro perdurare: le assemblee liturgiche domenicali sono pressoché formate da persone anziane e sempre più diradate; la latitanza delle giovani generazioni che frequentano ormai le cattedrali alternative costituite dai centri commerciali; alle parrocchie è chiesto sempre di più di essere agenzie che erogano servizi religiosi a richiesta e possibilmente brevi, gratuiti, senza impegno di cambiamento di vita; la catechesi per i ragazzi dell’Iniziazione cristiana si riduce ad un incontro caratterizzato da dinamiche di gruppo a sfondo sociologico nella cornice di una aggregazione umana dall’evidente risvolto di servizio sociale, dove Gesù e la Chiesa permangono come illustre e sconosciuto ricordo di un passato infantile e ingenuo; la catechesi degli adulti è relegata a qualche evento sacramentale straordinario oppure è correlata a qualche eccezione folkloristica da sagra, in cui la dimensione religiosa funge da prassi assolutoria; si diffonde in modo evidente il costume di frequentare le chiese per occasioni circostanziate e legate ad un interesse individuale (funerali, benedizione della gola, del sale, degli animali, degli attrezzi agricoli …), il tutto corredato da un’enfasi rituale che non ha eguali; altrove si impiegano energie nella pastorale del turismo religioso che riduce le comunità parrocchiali ad essere agenzie che organizzano il tempo libero a tratti corredato da un alone di spiritualità confortevole e appagante.

Questi sono pochi tratti che delineano il presente delle nostre comunità cristiane in questo tempo. Si tratta di una narrazione che traccia un quadro esagerato e pessimista? Troppo severo? Forse. Probabilmente è scomodo proprio perché è reale e perché evidenzia fatti che spesso ci rifiutiamo di vedere, perché ci provocano ad un cambiamento di mentalità pastorale ovvero ad una conversione autentica, che procede ben oltre la rassegnazione giustificata dal “si è sempre fatto così!”, oppure “i tempi sono mutati, non si può fare diversamente!”. La situazione di gravità reale descritta risiede proprio nella rassegnazione che mortifica ogni speranza e introduce un modo di pensare e di vivere correlato alla barbarie e al disgusto della vita propria e degli altri. Non è il cristianesimo ad essere giunto al tramonto, bensì i cristiani che hanno rinunciato a riconoscere la loro identità e il senso della missione ad essi affidata! Questo modo di procedere è oltretutto confermato da una paura serpeggiante nel cuore delle persone, da una aggressività verbale e fisica ingiustificata e che nasconde patologie umane gravi, insultando la dignità dell’altro e impedendo alle prossime generazioni un presente e un futuro di speranza. Non si tratta, pertanto, della finitudine del cristianesimo o della Chiesa, ma di una certa generazione di credenti ancorati sull’arroganza della fede e che hanno dimenticato la correlazione discepolato-servizio per la causa dell’evangelo.

Ritengo che proprio in questo tempo difficile si nascondono opportunità inaspettate che non ci possono trovare impreparati e distratti. Oggi i cristiani hanno ancora una parola da annunciare e da testimoniare con le loro povere vite, perché non si tratta di una parola umana legata alle convenienze, collusa con la complicità di amicizie con i potenti di questo mondo e nemmeno prigioniera della ricerca del prestigio personale a tutti i costi nel tentativo di riconquistare il terreno perduto. I cristiani oggi ancora sono chiamati ad essere “il sale della terra, la luce del mondo, la città posta sul monte” (cfr. Mt 5,13-16), non per esibire se stessi, ma perché non intendono rinunciare a rendere ragione della speranza che è in loro (cfr. 1Pt 3,15): Gesù Cristo, lo stesso ieri, oggi e sempre (cfr. Eb 13,8).

Il tempo santo della Quaresima che prende avvio il Mercoledì delle Ceneri ed è orientato alla Pasqua di croce e di risurrezione del Signore, sta davanti a noi come tempo di grazia in cui è possibile ricominciare a guardare in alto, senza disattendere gli appelli di una umanità affannata e disorientata, che cerca la verità e il senso della vita oltre ogni effimera gioia momentanea. Dio ci conceda la grazia di intraprendere un vero cammino di ritorno a Lui, Signore delle nostre vite, compassionevole e misericordioso, la cui benevolenza non si è esaurita (cfr. Lam 3,22).

+ Ovidio Vezzoli

vescovo di Fidenza

"Chiesa in preghiera" - la Lettera pastorale 2022-2023 del Vescovo Ovidio

Dal 9 ottobre è possibile trovare una copia della Lettera Pastorale 2022-2023 del Vescovo Ovidio dal titolo "Chiesa in preghiera. Signore, insegnaci a pregare" (Lc 11,1) in tutte le parrocchie della Diocesi, in Cattedrale e durante tutti gli eventi di carattere diocesano.

E' inoltre possibile leggere, scaricare e stampare la Lettera pastorale in PDF qui.

San Donnino, maestro di preghiera, testimone di Cristo

Solennità di S. Donnino martire (9 ottobre 2022)

San Donnino, maestro di preghiera, testimone di Cristo

 

L’apostolo Paolo ammonisce che:

«lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza , perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26-27).

L’umanità oggi esprime tutta la sua fatica del vivere, ma al contempo non rinuncia alla ricerca della verità e del senso dell’esistenza. In questa prospettiva, la nostra è una umanità che non ha smarrito il senso del primato dello spirituale anche se alcune volte lo cerca per vie tortuose, imboccando forme di sincretismo religioso che tutto generalizza o facendosi discepola di personalità più preoccupate di ostentare se stesse che di prendersi cura dell’altro nella libertà. Oggi i discepoli del Signore hanno ancora qualcosa da dire all’umanità anche relativamente alla preghiera; ciò essi intendono proporre senza arroganza di possedere una verità assoluta, ma indicando in Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, la via, la verità e la vita (cfr. Gv 14,6); è lui il vero modello della preghiera che ci insegna l’arte dello stare davanti a Dio senza fughe mistiche; ci educa a stare nel mondo da discepoli, ma con l’atteggiamento di chi intercede misericordia per tutti. La preghiera cristiana è autentica scuola di spiritualità, ma anche di umanità, di audace speranza e di compassione verso tutti. La prima missione affidata ai credenti è la preghiera incessante alla quale nulla va anteposto. La preghiera esige questo primato nella vita di ogni discepolo. Come si scandisce questo servizio dell’orazione che la comunità offre davanti a Dio per il mondo intero?

Anzitutto, nella fedeltà e nell’assiduità alla preghiera comunitaria ecclesiale che trova i suoi momenti decisivi nelle Lodi del mattino e nel Vespro. I cristiani sono costituiti sentinelle pronte a vegliare nella notte di ogni tempo e in ogni momento per rendere sempre più vivo il memoriale di Cristo e della sua presenza misericordiosa. La preghiera della Chiesa è l’opera di Dio alla quale nulla può essere anteposto; è vera adorazione del Vivente in mezzo a noi al quale cerchiamo, per grazia, di conformare la nostra povera umanità. Non va disatteso che la sola presenza laddove la Chiesa si riunisce è già una lode al Signore unico, che tutto vede e scruta nel segreto di ogni cuore.

La preghiera ecclesiale, in secondo luogo, trova nell’eucaristia la sua espressione fondamentale perché è la Parola fatta carne che si fa dono. All’eucaristia, memoriale della pasqua del Signore, vanno ricondotti tutta la nostra giornata, il nostro lavoro e le nostre relazioni. Parola ed eucaristia costituiscono la vera identità della preghiera, ma anche della Chiesa stessa perché richiede nuova coerenza, quella scaturita dalla consegna della vita del Signore, pane spezzato e sangue versato. Parola ed eucaristia vincono tutte le nostre pigrizie e le nostre debolezze, realizzano la comunione fraterna oltre ogni divisione, conflitto e discordia. 

Non va dimenticato, in terzo luogo, che è propria del discepolo anche la preghiera personale in comunione con tutti. Se intendiamo vivere alla presenza del Signore ogni giorno è necessario pregare nel silenzio, nell’umiltà, come Gesù stesso più volte ha indicato ai suoi (cfr. Lc 6,12; 9,28). L’aridità spirituale potrebbe condurci a ritenere la preghiera inutile, inefficace, abitudinaria; eppure non va dimenticato che è nell’esperienza della lotta che molti cercatori di Dio lo hanno trovato; nella notte della fede, in un silenzio implorante, in un incontro fatto presenza essi lo hanno compreso come Padre provvidente. Non va nemmeno disatteso il fatto che la preghiera personale è necessaria per sostenere quella della Chiesa. Il primato dell’orazione, pertanto, richiama la preghiera incessante (cfr. 1Ts 5,17), in ogni tempo, nella speranza, nel silenzio, nell’ascolto, nell’attesa oltre ogni tentazione di ridurre la vita del discepolo ad un attivismo inconcludente.

Il primato della preghiera, infine, rivela un cammino di ricerca di pace interiore davanti a Dio e al mondo; esso educa pazientemente all’ascolto dell’Unico e dei fratelli e sorelle che con noi condividono lo stesso cammino di crescita nella fede, in un’unica speranza che non delude e nella fedeltà alla Parola. Il primato della preghiera ricorda a ciascuno di noi che l’orazione è parte costitutiva della nostra chiamata e della missione in comunione con la Chiesa. La preghiera fa memoria a ciascuno di noi che solo così si è in tutto orientati al compimento della Parola, alla ricerca del volto del Signore nell’altro e nell’attesa perseverante di Colui che viene sempre. La comunità cristiana degli inizi si connota per l’assiduità alla preghiera davanti a Dio (cfr. At 1,14; 2,42); essa, infatti, rivela la natura di una Chiesa che cammina in una speranza audace, attende e vive nell’obbedienza all’unica volontà di Dio manifestata in Gesù il crocifisso, risorto e atteso come veniente. Laddove poteva presentarsi la tentazione di agire secondo modalità umane o secondo criteri legati all’efficienza del mondo e alla visibilità incondizionata, la comunità degli inizi intravede la necessità di stare davanti a Dio perché sia Lui a manifestare la sua volontà. Vivere il quotidiano alla presenza del Signore non è segno di spiritualismo esasperato; non è indice di inattività, di abbandono alla fatalità o traccia di disinteresse rispetto alle urgenze dell’apostolato, dell’annuncio dell’evangelo, della carità verso il prossimo. Al contrario, la preghiera è segno che rimanda al per primo di Dio, Signore della storia che conosce il cuore di tutti. Una Chiesa in preghiera si sottopone al giudizio del suo Signore perché sia lui ad indicarle la strada, ma anche le modalità con le quali annunciare e testimoniare la sua presenza compassionevole in una umanità che cammina tra l’indifferenza e la ricerca di senso del segno del tempo.

Con questi atteggiamenti la Chiesa che è in Fidenza si dispone a celebrare la solennità del patrono e martire di Cristo, San Donnino. Non è casuale, infatti, che uno dei bassorilievi antelamici che decorano il portale della cattedrale fidentina rappresenti il martire Donnino in atteggiamento orante con lo sguardo rivolto in modo deciso verso colui che è la via, la verità e la vita. Il martire Donnino ci insegni la difficile arte della preghiera e ci educhi a volgere le nostre povere vite al Signore unico della storia e del tempo.

+ Ovidio Vezzoli

vescovo di Fidenza

Offerte per i sacerdoti: il 18 settembre la Giornata nazionale

Ogni giorno ci offrono il loro tempo, ascoltano le nostre difficoltà e incoraggiano percorsi di ripresa: sono i nostri sacerdoti che si affidano alla generosità dei fedeli per essere liberi di servire tutti. Per richiamare l’attenzione sulla loro missione, torna domenica 18 settembre la Giornata nazionale delle offerte per il sostentamento del clero diocesano, che sarà celebrata nelle parrocchie italiane.


La Giornata – giunta alla XXXIV edizione – permette di dire “grazie” ai sacerdoti, annunciatori del Vangelo in parole ed opere nell’Italia di oggi, promotori di progetti anti-crisi per famiglie, anziani e giovani in cerca di occupazione, punto di riferimento per le comunità parrocchiali. Ma rappresenta anche il tradizionale appuntamento annuale di sensibilizzazione sulle offerte deducibili. “È un’occasione preziosa – sottolinea il responsabile del Servizio Promozione per il sostegno economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni – per far comprendere ai fedeli quanto conta il loro contributo. Non è solo una domenica di gratitudine nei confronti dei sacerdoti ma un’opportunità per spiegare il valore dell’impegno dei membri della comunità nel provvedere alle loro necessità. Basta anche una piccola somma ma donata in tanti”.

Nonostante siano state istituite nel 1984, a seguito della revisione concordataria, le offerte deducibili sono ancora poco comprese e utilizzate dai fedeli che ritengono sufficiente l’obolo domenicale; in molte parrocchie, però, questo non basta a garantire al parroco il necessario per il proprio fabbisogno. Da qui l’importanza di uno strumento che permette a ogni persona di contribuire, secondo un principio di corresponsabilità, al sostentamento di tutti i sacerdoti diocesani. “Le offerte – aggiunge Monzio Compagnoni – rappresentano il segno concreto dell’appartenenza ad una stessa comunità di fedeli e costituiscono un mezzo per sostenere tutti i sacerdoti, dal più lontano al nostro. La Chiesa, grazie anche all’impegno dei nostri preti, è sempre al fianco dei più fragili e in prima linea per offrire risposte a chi ha bisogno”.


Destinate all’Istituto Centrale Sostentamento Clero, le offerte permettono, dunque, di garantire, in modo omogeneo in tutto il territorio italiano, il sostegno all’attività pastorale dei sacerdoti diocesani. Da oltre 30 anni, infatti, questi non ricevono più uno stipendio dallo Stato, ed è responsabilità di ogni fedele partecipare al loro sostentamento.
Le offerte raggiungono circa 33.000 sacerdoti al servizio delle 227 diocesi italiane e, tra questi, anche 300 preti diocesani impegnati in missioni nei Paesi del Terzo Mondo e circa 3.000, ormai anziani o malati dopo una vita spesa al servizio degli altri e del Vangelo.

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In occasione della Giornata del 18 settembre in ogni parrocchia i fedeli troveranno locandine e materiale informativo per le donazioni. Nel sito www.unitineldono.it è possibile effettuare una donazione ed iscriversi alla newsletter mensile per essere sempre informati sulle numerose storie di sacerdoti e comunità che, da nord a sud, fanno la differenza per tanti.

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«È tempo di cercare il Signore» (Os 10,12)

Pubblichiamo di seguito il messaggio che il Vescovo Ovidio ha scritto per la comunità della Diocesi fidentina in occasione del periodo di riposo estivo.

 

«È tempo di cercare il Signore» (Os 10,12)

 

Alcuni giorni fa la Chiesa, nella liturgia della Parola, proponeva ai credenti l’ascolto di alcune pagine fondamentali tratte dal libro di Osea. Il suo ministero profetico si svolge nel regno del nord (Israele) nel corso dell’VIII secolo a.C. in un tempo difficile segnato da contrasti sociali, economici, politici e, nondimeno, dalla minaccia sempre incombente della potenza militare assira che, con il suo condottiero Tiglat Pileser III (727 a.C.), intende espandere il possedimento dei suoi territori e la sua influenza al di fuori dei suoi confini. Purtroppo, molti benpensanti e stolti in Israele, invece di svolgere il ministero di guide responsabili della comunità sono maggiormente preoccupati di accumulare ricchezze e di trarre profitto, comunque, da una situazione che volge al drammatico per molti, ingrossando in tal modo, sempre di più, le file dei miseri che bramano solo un pezzo di pane per sopravvivere.

È in tale contesto che si erge chiara e senza equivoci la voce profetica di Osea. Anzitutto, il profeta denuncia una situazione di ipocrisia e di ingiustizia che alberga tra le guide della comunità; la popolazione stessa non vuole ammettere il tempo difficile che si sta vivendo. I capi del popolo ricercano false alleanze politiche, ma solo in vista di vedere salvaguardati i propri interessi personali. Quanti dovrebbero tenere alta la speranza e spronare a ricominciare con fiducia si defilano dalle loro responsabilità abbandonando i più poveri e indifesi a una condizione miserevole e desolante.

In secondo luogo, Osea tratteggia i lineamenti di una popolazione affranta, delusa e che cerca consolazione nei culti stranieri, nella magia, nella superstizione abbandonando, in tal modo, il Signore per confidare in divinità che non sono in grado di salvare né di intervenire per il bene, in quanto sono idoli manufatti dalla frustrazione religiosa.

In terzo luogo, il profeta descrive la situazione della comunità di Israele come quella di chi è preso da astenìa, da una debolezza mortale che impedisce qualsiasi possibilità di ripresa e di speranza nel domani. La denuncia di Osea è eloquente: «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7). Questa è l’immagine più eloquente dello sconforto, della rinuncia a qualsiasi risposta rispetto alla situazione contingente. È la descrizione realistica di uno stato di abbandono della propria dignità umana; è la rassegnazione propria della delega a qualsiasi fatica del pensare. In sostanza, il profeta descrive la condizione di chi rinuncia a sperare e, dunque, a vivere. La comunità di Israele preferisce commiserarsi fissando con insistenza lo sguardo sulle proprie difficoltà, le proprie paure lasciandosi paralizzare dall’angoscia e dalla disfatta dichiarata ormai irreparabile. Si tratta di un popolo che non sa più guardare verso il cielo, verso Dio per invocarlo con umiltà e fiducia, perché la salvezza viene dal Signore e non dalle potenze degli eserciti accecati dalla bramosia del potere.

Attestata questa situazione, caratterizzata da un’aria irrespirabile perché ammorbata di rassegnazione e di morte, Osea non desiste dall’alzare la voce e richiamare a ciò che è essenziale: «È tempo di cercare il Signore finché egli venga e diffonda su di voi la giustizia» (Os 10,12). L’appello del profeta lascia trasparire tutta l’urgenza necessaria per ricominciare; ma questo è possibile, non partendo da alleanze umane effimere e deludenti, ma dal ritornare a cercare il Signore.

«È tempo di cercare il Signore». Questo ammonimento è anche per noi oggi. Si leggono sui volti delle persone che incontriamo i tratti della paura, della fatica, dello smarrimento, della delusione e, spesso, dell’angoscia che paralizza impedendo di ricominciare a sperare. L’occhio e la mente sono come avvolti dall’oscurità dell’angoscia, non si riesce più a vedere il bene che opera ancora e in modo significativo; il pensiero stesso è come anchilosato, incapace di discernere con intelligenza quanto accade, interrogandosi sul significato di tutto ciò e su quale responsabilità richiede senza delegare ad altri ciò che compete a ciascuno di noi.

«È tempo di cercare il Signore», ammonisce ancora oggi il profeta risvegliandoci dal torpore, dall’apatia e dall’indifferenza che sono il segno di una grave immaturità umana unita alla stoltezza. Serve a ben poco abbandonarsi a lamentevoli giudizi, che lasciano sempre le cose nella impossibilità di cambiare. Non serve a nulla abbandonarsi al determinismo, alla casualità e aspettare illudendosi che i tempi cambino e che le situazioni si risolvano per conto loro. È necessario, al contrario, che ciascuno riprenda la responsabilità che gli compete come uomo e come donna, come cittadino, come credente, affinché le scelte e, nondimeno, la fatica del pensare di ciascuno concorrano al bene comune, alla edificazione reciproca, alla concordia, al rispetto della dignità di tutti e alla pace.

«È tempo di cercare il Signore» e di imparare a guardare in alto verso di lui, non per fuggire o per rimuovere la complessità della storia contemporanea, ma per imparare a guardare alla nostra vita e all’umanità come la guarda il Signore, nello stile della Lettera enciclica di Papa Francesco «Fratelli tutti», con occhi di compassione e di misericordia, senza disattendere l’opera per la giustizia che scaturisce dall’evangelo.

«È tempo di cercare il Signore». Il tempo dell’estate possa diventare tempo di riposo e di ritrovate relazioni fraterne, tempo di riflessione e di grazia in cui torniamo a cercare il Signore, l’essenziale delle nostre povere vite. «È tempo di cercare il Signore», anche se è lui stesso che si fa trovare sul nostro cammino, rinvigorisce la nostra speranza e ci chiama a ricominciare nel suo nome.

 

+ Ovidio Vezzoli

16 luglio 2017 - 16 luglio 2022: grazie Vescovo Ovidio!

16 luglio 2022: nel quinto anniversario dell’ingresso di mons. Ovidio Vezzoli nella Diocesi di Fidenza la redazione de “Il Risveglio”, nel formulare i migliori auguri per la continuazione del suo mandato, ringrazia innanzitutto il Signore per il grande dono della sua presenza insieme agli innumerevoli doni ricevuti in questo primo tratto del suo percorso ministeriale.

Questi cinque anni sono stati segnati da gravi avvenimenti, come la pandemia e la guerra in Ucraina, che hanno messo a dura prova la Chiesa universale e quindi anche la nostra piccola comunità diocesana. Ma anche in tempi difficili come questo il Vescovo non ha mai fatto mancare il suo messaggio di fiducia e di speranza per evitare al popolo dei fedeli di cedere alla paura e alla rassegnazione. Fin dall’inizio del mandato il suo ministero è stato illuminato dalla nuova luce che il Concilio Vaticano II aveva fatto scaturire più di 50 anni fa. La figura del Vescovo vista cioè come il perno ministeriale della Chiesa, segno e garanzia di unità sia dentro la propria Chiesa particolare che nel rapporto tra le diverse Chiese, anello di congiunzione tra la dimensione locale e quella universale della Chiesa. Non più un semplice “luogotenente” del Papa, ma un vero e proprio pastore che nella pienezza dell’Ordine sacro guida la Chiesa particolare in comunione con la Chiesa universale. Con il triplice munus: insegnare, governare, santificare. Pur senza enfatizzare la novità, si deve riconoscere che il Concilio Vaticano II ha fatto finalmente posto alla Chiesa particolare nella riflessione magisteriale. La strada era stata aperta dalla costituzione “Sacrosanctum concilium” (n. 41) dove si legge: “La principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucarestia, alla medesima preghiera, al medesimo altare presieduto dal vescovo e circondato dal suo presbiterio e dai ministri”. Ma è nella costituzione “Lumen gentium”, e proprio nel capitolo dedicato all’episcopato, che il Concilio Vaticano II ha offerto i testi più significativi circa la teologia della Chiesa particolare. Al n. 23, nel contesto della trattazione sulla collegialità, si parla delle “Chiese particolari, formate a immagine della Chiesa universale nelle quali, e a partire dalle quali, esiste la sola e unica Chiesa cattolica”. Con una sottolineatura importante: una Chiesa particolare è veramente Chiesa solo se il vescovo che la presiede è in comunione con gli altri vescovi e soprattutto con il vescovo di Roma. E con Papa Bergoglio il Vescovo Ovidio ha mostrato di essere in sintonia fin dall’inizio: a partire dall’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” fino alla recente enciclica “Fratelli tutti”.

Degli elementi che hanno caratterizzato il suo episcopato in questi cinque anni abbiamo posto in evidenza il suo apporto determinante nell’avviare il cammino sinodale e le tracce per una interpretazione corretta dell’enciclica “Fratelli tutti” cui ha dedicato un libretto ricco di stimoli e di suggestioni.

Ma è soprattutto alla Parola di Dio che egli ha dedicato le energie migliori: una Parola letta, ascoltata, studiata, meditata e pregata per essere accolta con la vita. L’esortazione a ritornare alle fonti della Parola, vera sorgente di evangelizzazione, è fondata sul testo contenuto nella Lettera agli Ebrei: “La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio. Essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12-13). Grazie alla lectio divina con la quale il Vescovo Ovidio ha educato l’intera Diocesi, la Parola di Dio è stata esaltata in tutti i suoi aspetti fino a diventare parte integrante del cammino di fede per ogni cristiano, consacrato o laico.

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(il Vescovo Ovidio in occasione di una lectio divina nella chiesa di Sant'Antonio a Salsomaggiore Terme)

Anche nel cammino sinodale iniziato con la santa Messa celebrata in Cattedrale il 17 ottobre scorso, le indicazioni del Vescovo Ovidio si sono rivelate illuminanti per dare un orizzonte preciso a quella consultazione “dal basso” che ha impegnato nell’arco di sei mesi parrocchie, associazioni e movimenti presenti in Diocesi. Coadiuvato dal Vicario per la Pastorale, don Marek Jaszczak, ha fortemente voluto l’incontro con gli uffici pastorali a Caderzone perché la sinodalità, al di là dei buoni propositi, venisse vissuta come occasione preziosa non solo per “camminare insieme” ma per essere Chiesa capace di ascoltare e di ascoltarsi in una dinamica di confronto e di scambio dove tutti i soggetti si sentono coinvolti e partecipi. E a Caderzone Terme ha avuto luogo un secondo momento, verso la metà di giugno, per le necessarie verifiche del cammino compiuto e ulteriori indicazioni per proseguire il percorso nel prossimo autunno. Prima ancora (e precisamente il 21 maggio) era stato convocato il Consiglio Pastorale Diocesano, aperto da una relazione del vicario per la pastorale sulle principali risultanze emerse all’interno degli 87 gruppi sinodali svoltosi in diocesi. Nelle conclusioni il Vescovo, dopo aver ringraziato don Marek e l’equipe diocesana per il lavoro compiuto, ha ricordato che il cammino sinodale sotto la guida dello Spirito Santo ha il compito di far emergere il volto missionario della Chiesa capace di parlare a tutti all’interno di una realtà complessa come quella che stiamo vivendo attualmente. Parafrasando la domanda formulata da Gesù a Cesarea di Filippo, potremmo chiederci: le persone che vivono intorno a noi cosa pensano della Chiesa? Quali sono le aspettative nei suoi riguardi rispetto ai grandi problemi che travagliano il mondo attuale? Una fase si è chiusa ma il difficile viene proprio adesso. L’oggi è il terreno della sfida da raccogliere. E quindi la responsabilità è grande, come già insegnava Gesù ai discepoli: “Voi siete il sale della terra e la luce del mondo” (Mt 5,13-16).

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(Il Vescovo Ovidio a Caderzone insieme ai direttori degli Uffici diocesani per la Pastorale)

Fin dal momento in cui viene pubblicata (3 ottobre del 2020) l’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” diventa per il Vescovo Ovidio un punto di riferimento costante sia nei suoi discorsi che negli scritti. Egli ne coglie immediatamente la portata storica, aperta dal documento sulla fratellanza umana (4 febbraio del 2019) siglato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam della moschea di Al Azhar, Ahmad al Tayyeb.

Dopo la presentazione in Cattedrale da parte del francescano p. Dino Dozzi, si incarica lui stesso di favorire la conoscenza del documento pontificio in Diocesi con una riflessione a tutto campo che coinvolge parrocchie, associazioni, movimenti. Ma non si ferma qui. Con la pubblicazione di un volume dal titolo “Tracce di interpretazione” (23 ottobre 2021) torna a prendere in esame il testo dell’enciclica con quattro approfondimenti: 1) gli antecedenti; 2) il Buon samaritano; 3) le ombre di una umanità affaticata; 4) quale luce può vincere la notte dell’umanità? Con una comunicazione aperta dove il Vescovo Ovidio indica alcune coordinate per reagire nella speranza alle difficoltà del momento attuale, segnato dalla pandemia.

Davanti all’illusione tecnocratica, al delirio di onnipotenza e al cinismo dell’indifferenza occorre la capacità di scrutare un orizzonte nuovo che non sia quello autoreferenziale del proprio ego. Una prima attenzione è non fuggire, ma permanere nella fedeltà e nella concretezza della storia in cui siamo. Ciò significa saper indicare con intelligenza una direzione di senso che mette nella condizione di orientare sul piano economico, politico e sociale. Le due lettere encicliche di Papa Francesco, “Laudato sì” (24 maggio 2015), dedicata al tema della cura della casa comune, e “Fratelli tutti” (3 ottobre 2020) interrogano tutti responsabilmente sui temi legati alla questione ambientale e sui temi sociali, che il nostro tempo individualista aveva cercato di rimuovere. Una seconda attenzione è caratterizzata dal fatto che la fraternità si propone come luogo storico nel quale la speranza trova una casa dove prendere dimora. Papa Francesco lo sottolinea con insistenza: nessuno si salva da solo, tutto è in relazione con tutto. Da sole la tecnica e la scienza non bastano a dare risposta alle domande fondamentali che salgono dal cuore degli umani e interrogano la loro coscienza. Per non cedere alla paura e alla rassegnazione occorre una speranza che è di tutti nella ricerca faticosa di un futuro che non è la volgare ripetizione di ciò che già conosciamo. Vi è la necessità urgente di ricostruire l’umano che è stato smarrito dopo che l’umano è stato barattato con la tecnocrazia ritenendolo semplicemente uno scarto. In tal senso è necessario ricominciare dall’Evangelo, autentico lievito in vista di una trasformazione profonda della vita sociale e fondamento di una speranza che non delude. Due figure si impongono come maestri e testimoni nelle pagine finali: San Francesco d’Assisi (1182 – 1226) ed il beato Charles de Foucauld (1858 – 1916), “il fratello universale”.

Per questo e per molto altro diciamo: grazie, vescovo Ovidio!

Al via la nuova campagna 8xmille della CEI

Non è mai solo una firma. È di più, molto di più.

Questo il claim della nuova campagna di comunicazione 8xmille della Conferenza Episcopale Italiana, che mette in evidenza il significato profondo della firma: un semplice gesto che vale migliaia di opere.


La campagna, on air dall' 8 maggio, racconta come la Chiesa cattolica, grazie alle firme dei contribuenti riesca ad offrire aiuto, conforto e sostegno ai più fragili con il supporto di centinaia di volontari, sacerdoti, religiosi e religiose.

Così un dormitorio, un condominio solidale, un orto sociale diventano molto di più e si traducono luoghi di ascolto e condivisione, in mani tese verso altre mani, in occasioni di riscatto.

Gli spot mettono al centro il valore della firma: un segno che si trasforma in progetti che fanno la differenza per tanti. Dal dormitorio “Galgario” che, nel centro storico di Bergamo, offre ospitalità e conforto ai più fragili, alla “Locanda San Francesco”, un condominio solidale nel cuore di Reggio Emilia per persone in difficoltà abitativa; dalla “Casa d’Accoglienza Madre Teresa di Calcutta”, un approdo sicuro, a Foggia, per donne vittime di violenza a “Casa Wanda” che a Roma dà assistenza e supporto ai malati di Alzheimer e ai loro familiari, passando per la “mensa San Carlo” di Palermo, a pieno regime anche durante la pandemia per aiutare antiche e nuove povertà. Farsi prossimi con l’agricoltura solidale è, invece, la scommessa di “Terra Condivisa”, orto solidale di Faenza, che coltiva speranza e inclusione sociale.
L’8xmille consente anche di valorizzare il patrimonio artistico nazionale con preziose opere di restauro come è accaduto a Grottazzolina dove la Chiesa del SS. Sacramento e Rosario, da tempo inagibile, è stata restituita alla cittadinanza continuando a tramandare arte e fede alle generazioni future.


“L’obiettivo della campagna 2022 – afferma il responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica, Massimo Monzio Compagnoni – è dare ancora una volta voce alla Chiesa in uscita motivata da valori che sono quelli del Vangelo: amore, conforto, speranza, accoglienza, annuncio, fede. Gli spot ruotano intorno al ‘valore della firma’ e ai progetti realizzati grazie ad essa. Chi firma è protagonista di un cambiamento, offre sostegno a chi è in difficoltà ed è autore di una scelta solidale, frutto di una decisione consapevole, da rinnovare ogni anno. Dietro ogni progetto le risorse economiche sono state messe a frutto da sacerdoti, suore, operatori e dai tantissimi volontari, spesso il vero motore dei progetti realizzati”.
La campagna, ideata per l’agenzia Another Place da Stefano Maria Palombi che firma anche la regia, sarà pianificata su tv, con spot da 30” e 15”, web, radio, stampa e affissione. Le foto sono di Francesco Zizola.

Sul web e sui social sono previste campagne “ad hoc” per raccontare una Chiesa in prima linea, sempre al servizio del Paese, che si prende cura degli anziani soli, dei giovani in difficoltà, delle famiglie colpite dalla pandemia e dalla crisi economica a cui è necessario restituire speranza e risorse per ripartire.


Su www.8xmille.it sono disponibili anche i filmati di approfondimento sulle singole opere mentre un’intera sezione è dedicata al rendiconto storico della ripartizione 8xmille a livello nazionale e diocesano. Nell’area “Firmo perché” sono raccolte le testimonianze dei contribuenti sul perché di una scelta consapevole. Non manca la Mappa 8xmille che geolocalizza e documenta con trasparenza quasi 20mila interventi già realizzati.
Sono oltre 8.000 i progetti che, ogni anno, si concretizzano in Italia e nei Paesi più poveri del mondo, secondo tre direttrici fondamentali di spesa: culto e pastorale, sostentamento dei sacerdoti diocesani, carità in Italia e nel Terzo mondo.
La Chiesa chiede ai fedeli ed ai contribuenti italiani di riconfermare con la destinazione dell’8xmille la fiducia e il sostegno alla sua missione per continuare ad assicurare conforto, assistenza e carità grazie ad una firma che si traduce in servizio al prossimo.

Per informazioni e aggiornamenti:

https://www.8xmille.it/
https://www.facebook.com/8xmille.it
https://twitter.com/8xmilleit
https://www.youtube.com/8xmille

https://www.instagram.com/8xmilleit/

Uniti nel dono: la storia di don Mario Fontanelli

Un grazie per il dono dei sacerdoti in mezzo a noi, questo il significato profondo delle offerte deducibili. I nostri preti infatti sono ogni giorno al nostro fianco ma anche noi possiamo far sentire loro la nostra vicinanza.

Una partecipazione che ci rende “Uniti nel dono”: questo il messaggio al centro della nuova campagna #DONAREVALEQUANTOFARE della Conferenza Episcopale Italiana che intende sensibilizzare i fedeli alla corresponsabilità economica verso la missione dei sacerdoti e si sofferma sul valore della donazione, un gesto concreto nei confronti della propria comunità.

A supporto della nuova campagna anche la pagina www.unitineldono.it/donarevalequantofare collegata al nuovo sito in cui oltre alle informazioni pratiche sulle donazioni, si possono scoprire le esperienze di numerose comunità che, da nord a sud, fanno la differenza per tanti.

L’opera dei sacerdoti è infatti resa possibile anche grazie alle Offerte per i sacerdoti, diverse da tutte le altre forme di contributo a favore della Chiesa cattolica, perché espressamente destinate al sostentamento dei preti diocesani. Dal proprio parroco al più lontano.  Ogni fedele è chiamato a parteciparvi. L’Offerta è nata come strumento per dare alle comunità più piccole gli stessi mezzi di quelle più popolose, nel quadro della ‘Chiesa-comunione’ delineata dal Concilio Vaticano II.

Le donazioni vanno ad integrare la quota destinata alla remunerazione del parroco proveniente dalla raccolta dell’obolo in chiesa. Ogni curato infatti può trattenere dalla cassa parrocchiale una piccola cifra (quota capitaria) per il suo sostentamento, pari a circa 7 centesimi al mese per abitante. In questo modo, nella maggior parte delle parrocchie italiane, che contano meno di 5 mila abitanti, ai parroci mancherebbe il necessario.

Le offerte raggiungono circa 33.000 sacerdoti al servizio delle 227 diocesi italiane e, tra questi, anche 300 sacerdoti diocesani impegnati in missioni nei Paesi del Terzo Mondo e 3.000 sacerdoti, ormai anziani o malati, dopo una vita spesa al servizio agli altri e del Vangelo.

L’importo complessivo delle offerte nel 2020 si è attestato sopra gli 8,7 milioni di euro rispetto ai 7,8 milioni del 2019. È una cifra ancora lontana dal fabbisogno complessivo annuo necessario a garantire a tutti i sacerdoti una remunerazione pari a circa mille euro mensili per 12 mesi.

 

Cristina, Vincenzo e una parrocchia di Fidenza in prima linea nella lotta contro la droga dalla fine degli anni ‘70 fino ad oggi

nel racconto di un sacerdote, don Mario Fontanelli, anche lui coinvolto nell’iniziativa

 

Quella che presentiamo nel testo che segue è la storia di don Mario Fontanelli, 74 anni, sacerdote della Diocesi di Fidenza, così come lui ha voluto che fosse raccontata: una semplice testimonianza di vita rischiarata sempre –anche nelle molte prove- dalla luce del Signore. Nessun desiderio di apparire né tanto meno di proporsi come modello esemplare, ma solo la conferma che “grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome”: il cantico del Magnificat che riecheggia in noi quando –come Maria- ci mettiamo umilmente in ascolto di Dio e della sua Parola.

Attualmente don Mario è parroco della chiesa di s. Maria Annunziata (e di altre due parrocchie), direttore del settimanale diocesano “Il Risveglio”, delegato per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso nonché canonico del Capitolo della Cattedrale.

Una data ha segnato una svolta nella vita di don Mario, che da quel momento non è stata più la stessa. Era il 25 giugno 1988: a quell’epoca aveva 42 anni e abitava a Bologna dove faceva il giornalista. Era passata da poco la mezzanotte quando il telefono squilla nel suo appartamento. Dall’altro capo del filo la voce inconfondibile di don Enrico Tincati, parroco e suo direttore spirituale: “Vieni subito, tua sorella sta male!”. Tornato a Fidenza, trova alla stazione il cognato Vincenzo che lo aspetta in lacrime: “Cristina non c’è più”. La sorella di don Mario era morta la sera prima in un incidente stradale: aveva 27 anni. Un dolore grande e una ferita profonda che non si rimargineranno facilmente. Seguono sei mesi di tormenti e di sensi di colpa per un rapporto affettivo coltivato a distanza e incapace di riconoscere il senso profetico di una scelta che più tardi avrebbe segnato anche lui.

Nel 1978 Cristina si era iscritta all’Università di Parma e frequentava il corso di laurea in Lingua e Letteratura russa, ma la tormentava il pensiero che l'altro fratello, Renzo, frequentasse il “giro” della droga. Quando lei e don Mario lo mettevano alle strette lui si scherniva dicendo che erano “solo le canne”, anche se sapeva bene che le sue bugie avevano le gambe corte. Il tempo passava e lui non accennava a cambiare, sicuro com’era che polizia e carabinieri non l’avrebbero mai “beccato”. Anni difficili: il flagello della droga si diffondeva dalle grandi città alle periferie e anche a Fidenza cominciò a mietere le prime vittime. Non si poteva stare a guardare.

Spiega don Mario: “Negli anni ‘70 don Enrico Tincati, parroco di S. Maria Annunziata, aveva coinvolto la parrocchia nella costruzione di un progetto educativo per la prevenzione della droga. In parrocchia si erano svolti molti incontri per approfondire il problema sulla base del ‘Progetto uomo’ di don Mario Picchi e dei corsi di formazione promossi dal Centro Nazionale del Volontariato a Lucca. Quando don Enrico chiese se c’era qualcuno intenzionato ad approfondire l’argomento delle dipendenze, si alzarono le mani di Cristina e del suo fidanzato Vincenzo. Era il segnale che attendeva: un impegno concreto a favore dell’uomo come parte integrante della propria giornata. Non un riempitivo (lo faccio se ho tempo, se ho voglia, se non sono stanco, se non ho altro da fare …), ma essere segno della Chiesa di Cristo che vive dove scorre il fiume della vita: il mondo del lavoro, il mondo dei giovani, il mondo della donna. E sempre in ascolto, soprattutto degli ultimi.

Cristina e il fidanzato Vincenzo vi partecipano attivamente e coinvolgono altre persone, giovani e adulti.

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(Cristina e Vincenzo il giorno del loro matrimonio)

Il 7 dicembre 1981 la comunità parrocchiale di s. Maria Annunziata esce allo scoperto e promuove un incontro al teatro Magnani, stipato fino all’inverosimile, sul tema: “Un’esperienza di liberazione dalla droga raccontata da due protagonisti”. Grazie a questa iniziativa (e a quelle che seguiranno) la città, insieme alle sue istituzioni, è chiamata a prendere coscienza del fenomeno-droga e del quadro che lo caratterizza, mettendo via via da parte pregiudizi e luoghi comuni dove il “drogato” viene visto come una sorta di appestato da emarginare perché “irrecuperabile” a livello individuale e ”pericoloso” socialmente. No! Siamo prima di tutto davanti a persone con il loro carico di problemi e di sofferenze, all’interno di quell’area vasta chiamata “disagio giovanile”, che come cristiani abbiamo il compito di riconoscere prima di avviare con loro (e con la famiglia di provenienza) una relazione di aiuto all’interno di un cammino di recupero e di rigenerazione. Non solo per liberarli dalla schiavitù della droga (e di altre dipendenze), ma soprattutto per costruire “l’uomo nuovo” e motivare le sue scelte di vita futura secondo un progetto ben preciso che prevede varie tappe.

Manca però un luogo operativo che faccia da punto di riferimento per portare avanti il progetto iniziale e a questo punto è decisivo l’intervento di mons. Mario Zanchin, allora vescovo di Fidenza, nel mettere a disposizione della parrocchia e del volontariato un podere da tempo abbandonato”.

Ma il Vescovo volle che anche la Diocesi si sentisse coinvolta nel progetto, e nel documento finale del XIII Sinodo locale (1987) fece inserire l’art. 152 dove l’iniziativa viene definita “promettente e bisognosa di essere seguita con amore” sollecitando nello stesso tempo “altre case famiglia a rendersi disponibili per accogliere giovani in difficoltà, ma disponibili a farsi aiutare”. La risposta del volontariato in quegli anni fu straordinaria: la speranza cristiana si incarnava in un Vangelo, fatto non di parole astratte ma reso presente e vivo a stretto contatto con la quotidianità. Evangelizzazione e promozione umana, diventavano in concreto una cosa sola. 

22 ottobre 1983: nel giorno del loro matrimonio Cristina e Vincenzo vanno a vivere in quella che poi diventerà la comunità terapeutica “Casa di Lodesana”. Anni difficili, e non solo per la mancanza di mezzi economici, ma perchè l’accoglienza non si improvvisa.

Ma nulla è impossibile a Dio, e così anche il futuro don Mario viene coinvolto nell’iniziativa.

Martina Pacini

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(Casa di Lodesana, oggi)

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