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Martina Pacini

Domenica 8 ottobre, Speciale su "Avvenire"

Domenica 8 ottobre il quotidiano dei Vescovi “Avvenire” dedica un inserto speciale alla Diocesi di Fidenza in occasione della festa patronale di San Donnino Martire.
Oltre alla presentazione della Lettera pastorale del Vescovo Ovidio sulla comunione fraterna, l’inserto conterrà: il messaggio del nostro Pastore sul significato della festa patronale e alcune note circa il cammino sinodale con un breve cenno al lavoro che ci attende in futuro a cura della nostra equipe.

Fidenza: il 5 ottobre corteo delle Luminarie

Giovedì 5 ottobre, come da tradizione, si terrà il corteo delle luminarie dedicato al santo patrono Donnino Martire.
Pubblichiamo di seguito il programma completo.
- Alle ore 20.30 da via Cavour e da via Berenini le rappresentanze delle comunità fidentine muoveranno in direzione del Municipio con “candele e luminarie” precedute dalla banda municipale. Accoglierà il corteo la banda “Città di Fidenza”. Saranno poi presentati gli stendardi di tutte le frazioni cittadine. Anche quest’anno verrà presentato un nuovo stendardo: quello delle frazioni di Chiusa Ferranda e Chiusa Viarola, che si aggiungerà agli altri 8 già realizzati negli anni precedenti.
- Seguirà il saluto del sindaco Andrea Massari e la lettura degli “Statuta”.
A partire dalle ore 21 il corteo percorrerà piazza Garibaldi, piazza Verdi, via Milani, piazza Omati (chiesa di S. Giorgio), via Rossi, via Don Minzoni (abside del Duomo), via Cavour via Petrarca, fino a giungere in piazza Duomo. In piazza Omati proiezioni e intermezzo musicale a cura della corale “Chorus Laetus” diretta dal maestro Luca Pollastri. In via don Minzoni proiezioni e intermezzo musicale a cura della Corale San Donnino diretta dal maestro Giovanni Chiapponi.
- Seguiranno in Cattedrale il saluto e l’intervento del Vescovo Ovidio, la preghiera a San Donnino, l’omaggio del sindaco e dei cittadini all’urna del Santo Patrono con la consegna del cero e dei doni.
La processione attuale è l’ultima testimonianza di una antica usanza diffusa nel medioevo dove le popolazioni si impegnavano, come segno della sottomissione, a portare un tributo di cera. Tale offerta veniva presentata in forma solenne, una volta all’anno, alla festività del patrono. Le origini dell’evento sono antiche: la menzione si trova negli Statuti 52 e 53 emanati nel 1425 dal Podestà con l’approvazione dei Visconti, Signori di Milano. Lo Statuto 52 recita infatti:
“Come il Potestà, per due giorni prima della Festa del Beato Donnino, faccia bandire che tutti si preparino con candele e ceri. E poi stabilirono e ordinarono che in onore di San Donnino Martire il signor Podestà faccia bandire per due giorni prima della Festa del Beato Donnino, che tutte le persone debbano prepararsi con candele e luminarie da farsi e da portarsi per la Festa del Beato Donnino, che debbano venire con le candele accese insieme con il signor Podestà alla Vigilia di San Donnino alla sua Chiesa, e lì lasciare le candele, e che in tempo di pace ogni Console delle Ville con un doppiere di quattro libbre di cera per ciascuna Villa Comunale si presenti, e faccia scrivere dal notaio del Comune, e lascino le stesse luminarie quando il Vicario andrà alla Chiesa, e questa sotto pena da imporsi e da apportarsi secondo la volontà del sig. Vicario”.

Il 9 ottobre apertura straordinaria del Museo diocesano

In occasione della festa patronale di San Donnino Martire, lunedì 9 ottobre il Museo Diocesano effettua un’apertura straordinaria dalle 15 alle 18 e offre una visita guidata gratuita, con inizio alle 15, alla facciata della Cattedrale e alla statua di San Donnino visibile in Cattedrale nella cappella della Madonna del Carmine.

"Uscire dalla crisi, ma non da soli": il messaggio del Vescovo Ovidio per San Donnino

Uscire dalla crisi, ma non da soli

Gli opinionisti del tempo presente si alternano sul palcoscenico della nostra storia, quali solisti senza direttore d’orchestra, ostentando un pensiero orfano di saggezza. Eppure, e ciò è paradossale, essi vengono ascoltati in modo indiscriminato come i nuovi profeti che distribuiscono pillole di mediocrità e slogans ricolmi di nulla. Questi profeti di sventura cavalcano il pensiero della disfatta del nostro tempo definendolo un’epoca di decadenza propria della civiltà occidentale. Ora, la fatica di questo tempo della storia dell’umanità a tutte le latitudini è palese; sarebbe da stolti non prenderne atto. Si susseguono dichiarazioni colpevolizzanti alla ricerca di qualcuno o di qualcosa a cui addossare e delegare la responsabilità di un disordine e di un disorientamento generalizzati. Questi nuovi guru di una sedicente filosofia rabberciata si dilettano nel discettare come se fossero ospiti di un altro pianeta; lamentano con dovizia diagnostica documentata da analisi statistiche la decadenza del mondo politico, la decadenza della società degli umani, la decadenza nelle relazioni sociali, nella cultura, nel linguaggio, la decadenza demografica con risvolti sull’economia degli Stati, la decadenza del comportamento morale, ecc. In questo processo accusatorio non è esente la Chiesa nella quale si respira un clima di conflittualità, si riscontrano minacce di scismi e di contrapposizioni irrisolvibili; prevale un’immagine di comunità cristiana in crisi evidenziata dall’abbandono sempre più evidente dei praticanti alle liturgie e che lascia trasparire un volto del cristianesimo riluttante, indisponente, retaggio di un devozionismo del passato, che permane senza voce nella compagine culturale del nostro tempo. La prospettiva cristiana permane come irrilevante rispetto alle occupazioni del quotidiano nella vita delle persone.

Davanti a questo quadro, peraltro non esaustivo della complessità che caratterizza il nostro oggi, mi domando: i discepoli del Signore di questo tempo sono gli ultimi cristiani? Sono diventati una rara minoranza? Hanno perso e dimenticato la radice della loro missione e il senso della loro testimonianza? Sono diventati idolatri adoratori di divinità fatte da mano d’uomo? Hanno troppo in fretta disatteso la verità, la giustizia e la libertà che scaturiscono dall’evangelo? I cristiani ritengono ancora di poter offrire a questa storia e alla società degli umani una parola non scontata o sono diventati afoni rinunciando alla speranza e alla possibilità di ricominciare? Questi interrogativi non possono essere disattesi; è in gioco la credibilità stessa del cammino cristiano. Papa Francesco, per quanto la sua voce permanga inascoltata come un proclama nel silenzio del deserto della storia, invita costantemente ad uscire e a mostrare il volto di una Chiesa in cammino che non si rassegna alla mediocrità, all’esclusiva conservazione dell’esistente né intende diventare prigioniera della mondanità propria di una cultura agnostica, pragmatica e tecnocratica.

Contrapposta all’ideologia della decadenza, la sapienza biblica ha la pretesa di offrire un pensiero altro che genera speranza e vita. Lo ricordava già il profeta Geremia alla generazione del suo tempo affranta dalla catastrofe dell’esilio babilonese: «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo, dice il Signore, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11). In particolare, il libro di Qohelet ponendo attenzione all’attività degli umani offre indicazioni sapienziali per poter uscire dall’insidia della crisi al fine di imboccare il sentiero della speranza senza illusioni. La prima indicazione suggerita da Qohelet consiste nell’essere lieti: «Sta lieto, o giovane, nella tua giovinezza e si rallegri il tuo cuore» (Qo 11,9). Ciò significa esprimere uno sguardo positivo sulla realtà, mettere al bando la tristezza e l’angoscia, ponderare con discernimento la presenza del bene e saperlo riconoscere con verità e gratitudine, senza per questo disattendere la fatica del quotidiano. Se nel cammino della vita la sua origine e il suo termine è Dio, allora tutto ciò che si vive sulla terra trova in Lui il suo senso al punto che anche il limite è riconosciuto come un dono della vita stessa rivelazione della propria creaturalità.

Una seconda indicazione espressa dal saggio Qohelet per uscire dalla crisi è indicata dall’invito: «Ricordati del tuo creatore» (Qo 12,1). Questa coscienza ci conduce a riflettere sul fatto che se la nostra vita è dal Signore che essa proviene come dono, ne consegue che è a Lui che essa ritorna senza che nulla vada perduto. Ciascuno, pertanto, è chiamato a riconsiderare con attenzione le realtà sulle quali fonda il senso della propria esistenza. Se pure è vero che la vita terrena è caratterizzata dall’inconsistenza, dalla caducità e dalla vanità, perché tutti siamo forestieri in transito, è altrettanto secondo verità che l’origine e il termine della vita stessa sono riposte in Dio, senza il quale ogni realtà è senza senso, illusione di una presunta eternità dell’uomo senza fondamento alcuno.

Una terza indicazione Qohelet la consegna al lettore interpellandolo a riconoscere che la fonte di ogni saggezza è in Dio e nella conformità alla sua Parola accolta con umiltà (cfr. Qo 12,9-14). La vita dell’uomo è finalizzata ormai ad un cammino di ritorno al Signore. Il timor di Dio, l’osservanza e la custodia dei suoi comandamenti conducono ad acquisire quella sapienza del vivere che dà sapore al cammino dei giorni.

La celebrazione della solennità di S. Donnino, martire di Cristo e testimone dell’evangelo senza ipocrisia si inserisce in questo tempo ammonendoci che da ogni crisi si può uscire, non da soli, lasciandoci orientare da tre criteri fondamentali: ricominciare senza rinunciare alla speranza, volgere lo sguardo al Signore sorgente e fine ultimo del nostro errare come pellegrini dell’assoluto, permanere nel cammino senza voltarsi indietro e dimorando nella compagnia degli altri perchè fratelli tutti nell’unico Padre e Creatore.                       

 

+ Ovidio Vezzoli

Vescovo di Fidenza

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