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Martina Pacini

Dieci anni fa la scomparsa di don Claudio Melgazzi: testimonianze in suo ricordo

Nel 10° anniversario del ritorno alla Casa del Padre di don Claudio Melgazzi, per venti anni assistente spirituale dell’associazione “Il Diamante” e parroco in Duomo, i volontari e i soci desiderano ricordarlo attraverso alcune testimonianze che riportiamo di seguito.
 

"Esserci. Questa è la parola che di getto mi viene in mente se ripenso al mio grande amico e confessore don Claudio. Esserci. La Presenza, l’”esserci”, è la condizione fondamentale perché si instauri un’amicizia intima con l’altro: e questo vale, tanto in una comunità di persone, nella esperienza di preghiera personale, quanto più si sta vicino al Signore, CON il Signore,  quando si instaura un’amicizia intima con Lui…

E questo, don Claudio, oltre che insegnarcelo e propinarcelo in tanti incontri, lo ha vissuto sulla sua pelle. Quante volte, in Duomo, nel suo Duomo, lo si vedeva seduto nel confessionale (era tanto legato a quel confessionale che si era fatto installare un termosifone elettrico per le fredde giornate invernali)(oggi quel confessionale non è più nella sua posizione originaria) o sulla panca davanti al Santissimo, per ore a contemplare, a stare con Dio… ad “esserci”: con la sua tranquilla costanza, con quella serenità di chi sa di avere fatto bene a vendere tutti i suoi averi per “quel campo”: mi ha insegnato quanto è bello il silenzio interiore, quanto è bello…l’esserci: mi ripeteva spesso: “per sentire calore devi stare vicino al fuoco: e dove, meglio dell’altare del Santissimo tu puoi trovare questo calore?”.

Mi incitava a passare quotidianamente in Duomo per dare un saluto al “Padrone di casa”… “se passi a trovarlo al mattino vedrai come ti trasforma la giornata!” …per chi non ha provato non sa quanto è vero…

Esserci… esserci anche per la confessione: ho fatto anni nei quali la sua disponibilità era tale che potevo disturbarlo in qualsiasi momento della giornata: “Don, hai un attimo per me?” e lui, quell’attimo, per me, lo trovava sempre…

Mi ha insegnato l’importanza della confessione, da usare non come uno “smacchiatore” ma come un vero e proprio mettersi con umiltà nelle grandi mani aperte della misericordia di Dio…

A volte, entrando la sera in Duomo, entrando da dietro (da via don Minzoni), nella porta a fianco dell’altare del Santissimo, mi sembra di vederlo ancora là… seduto su quella panca in legno davanti al suo confessionale alla fioca luce di una lampadina… a snocciolare in silenzio Ave Maria, o con il suo prezioso breviario a recitare i Vespri… che alza lo sguardo e con un sorriso mi dice: “hai bisogno?”

Si, caro don Claudio: hai ancora un attimo per me?"

Andrea Bragadini

 

"La prima cosa che mi viene pensando alla mia parte di vita trascorsa con don Claudio in Duomo (quasi 25 anni) è ringraziare il Signore per il dono di un sacerdote umile, servitore di Cristo nell’obbedienza e nella preghiera. Ringrazio il Signore perché tutto passa da Lui, dal suo disegno, dalle persone che ci mette accanto o che ci fa’ incontrare…Posso affermare e dire con gioia che ho avuto lui come guida (assieme agli educatori) spirituale nel percorso di crescita di fede che va’ da quando ero quindicenne fino all’età adulta! E questo è un bagaglio che hai per sempre nel tuo cammino. Don Claudio è stato per me un sacerdote ricco di spiritualità ,di discernimento, pronto all’ascolto in qualsiasi circostanza, sempre pronto ad incoraggiarti nella preghiera con discrezione, ma, con metodo e perseveranza(aveva nel teologo e Cardinale C.Maria Martini un riferimento importante); in qualsiasi momento presente e disponibile nel confessionale ai piedi del crocifisso in duomo, in compagnia della corona del rosario e del libro della liturgia delle ore. Condividere con lui tanti momenti di vita parrocchiale anche durante il decorso fisico e di malattia ha cementato il nostro rapporto. S. Paolo nella lettera ai Corinzi (I Cor 2,1-5)ci ricorda che la nostra fede non è basata sulla sapienza umana ma l’unica vera fonte di sapienza è la persona di Gesù e la sua Croce".

                                                                Ivan Verdelli

 

"Nella liturgia della Parola, nella I Lettera ai Corinzi di san Paolo apostolo (2,1-5) ho sentito risuonare in me, l’umile pensiero di don Claudio, di come lui tanti anni fa si presentò a noi:

Anch'io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza.
Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso.
Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.

“Cosa è la fede?” ti chiesi tanti tanti anni fa, all’inizio della vita di comunità, e la tua risposta fu che  “la fede è il desiderio di un incontro, è dire “si” a quella Persona viva che sta bussando alla porta del tuo cuore: aprigli, e fai esperienza di Lui”. Da quel momento iniziai un’esperienza trasfigurante, che negli anni ha davvero trasformato (e sta trasformando) il profondo del mio essere.

Gesù”, mi dicevi, “deve essere il centro di ogni cosa che noi facciamo, di ogni nostra azione”.

Mi hai insegnato che per fare questa esperienza, occorre saper pregare con umiltà e perseveranza. La preghiera è il mezzo per comunicare con Dio, per stare con Dio, dove Lui stesso ci parla al cuore. E tu stesso ne davi testimonianza, rimanendo davanti al Santissimo per ore e ore in Duomo con il breviario in mano, oppure in silenzio, a “parlare con Dio”…

Mi hai insegnato che il mio dialogo con Dio deve essere sincero, costante, sapiente, di fiducia, di amore e di speranza,

“A Dio possiamo dire tutto quello che abbiamo nel cuore in ogni momento e situazione, dalle nostre preoccupazioni, tormenti, ossessioni ai nostri desideri, anche i più piccoli. La preghiera fa sentire meno pesante i problemi della vita e chi ci ascolta, tu metti lì le tue preoccupazioni, i tuoi pensieri… al resto ci penserà Lui… il Signore, non si tira mai indietro …”, mi dicevi spesso nei miei momenti di scoramento…


“Maestro, insegnaci a pregare” chiedevano gli apostoli… e tu lo sapevi che il centro stava lì… il centro, l’ho capito anche grazie a te… è lì.

E si arriva al centro, solo attraverso l’impegno di una formazione costante, la meditazione giornaliera, le esperienze di preghiera comunitaria e personale, il silenzio, la liturgia eucaristica, il santo rosario, la direzione spirituale: solo così si può sperare di crescere cristianamente assumendo una fede adulta, matura, che non vacilla.

Tante volte abbiamo pregato insieme ed è stato bellissimo per la profondità, la semplicità, la ricchezza. Mi hai fatto scoprire un Dio che è Amore attraverso la tua esperienza, e il tuo caro abbraccio di fratello in Cristo e Padre spirituale. Tutto quello che mi proponevi come guida spirituale tu lo vivevi già per primo e sapevi che avrebbe portato i suoi frutti, presto o tardi, anche se c’era veramente tanto da potare e raddrizzare in me. 

“Il seminatore uscì a seminare la sua semenza…”tu caro Don hai seminato tanto e ne sono la riprova le tante coppie di sposi, gli animatori, i catechisti, gli educatori, i diaconi e sacerdoti che tu hai preparato che tuttora stanno svolgendo brillantemente la loro missione. Tu, avevi scoperto un tesoro nel campo e quel tesoro non l’hai tenuto gelosamente per te, ma lo hai trasmesso in abbondanza a tutti. Quel tesoro è Gesù eucarestia, che fissavi nei pomeriggi in preghiera con la corona del rosario in mano, davanti al tuo confessionale. Fin da ora ci manca quella lucina accesa sopra il confessionale, che attendeva ed abbracciava. Carissimo Don per tutti noi sei ancora oggi una garanzia: di ascolto, di preghiera anche se non sei più qui fra noi; del resto mi ripetevi sempre: “al di là di tutto, ama e fai come se… e ricorda sempre: siamo servi inutili”.

                                                                                                          Roberto Corradi

Monsignor Carlo Mazza a Parma per parlare di turismo religioso

Pellegrinaggio inteso come cammino “alla ricerca del divino attraverso dei segni disseminati nel “Creato” e nei “Beni culturali” e il caso della Cattedrale di Fidenza dedicata a San Donnino.
Ne ha parlato Monsignor Carlo Mazza, vescovo emerito di Fidenza, durante il suo intervento a Ufficio Stampa Lab
  
Monsignor Carlo Mazza ha preso parte con entusiasmo al corso tenutosi al Centro Pastorale Diocesano di Parma, per parlare del significato profondo del Turismo Religioso inteso come buon cammino alla scoperta di sé stessi per elevare il tono della vita. 
  
La presenza e l'apporto del prelato, figura di spicco nella comunità ecclesiastica, hanno arricchito il dibattito e fornito preziose prospettive sull'importanza del cammino spirituale alla ricerca di sé attraverso tappe importanti della tradizione, della pietà popolare, della liturgia che si incontrano nella descrizione del bene artistico. È il caso della Cattedrale di Fidenza, punto di ritrovo per i pellegrini diretti a Roma lungo la Via Francigena.
  
I recenti restauri della Cattedrale hanno ridato luce e significato alle “storie” narrate dalle pietre, ricomponendo i tratti della bellezza originaria dei manufatti e hanno permesso delle visite guidate, direttamente sui ponteggi, organizzati dalle stesse restauratrici. 
  
La sua posizione strategica lungo la Via Francigena la rende un punto di passaggio imprescindibile per chiunque voglia immergersi nella ricchezza storico-religiosa della nostra terra. 
  
La Cattedrale, insieme al Museo Diocesano, continua così a essere non solo un'icona architettonica, ma meta di pellegrinaggi e visite guidate un luogo di incontro e riflessione per coloro che intraprendono il cammino della fede lungo le antiche vie dei pellegrinaggi medievali. 

Frescarolo: la chiesa parrocchiale e la scuola materna

Riportiamo qui di seguito ampi stralci dal libro su Frescarolo pubblicato da don Albino Buzzetti nel 1989, anno del 25° anniversario del suo ingresso in parrocchia. 
 
Una parrocchia non è formata solo dalla chiesa e non consiste nelle quattro mura della "Casa di Dio" dove hanno luogo le celebrazioni e le altre manifestazioni del culto. Essa vive in mezzo alle case degli uomini per i quali deve farsi maestra e quotidiano aiuto nel cammino della vita. E il Vangelo non è fatto per risuonare nelle navate di un tempo, ma deve diventare il fermento della vita della gente, accompagnando le attese, indirizzarne i progetti, alleviarne le difficoltà.  Nell'accennare alle sue opere non c'è nessun vanto, ma unicamente il desiderio di servire l'uomo nel suo itinerario quotidiano verso Dio. 
 
La scuola materna
Nel 1956-57 matura in parrocchia l'idea di un edificio capace di soddisfare le esigenze educative della comunità nel campo giovanile con una scuola materna e un oratorio. Il parroco don Lodovico Colombi caldeggia vivamente l'iniziativa e, con un gruppo di frescarolesi, fa redigere il progetto che comincia  a tradursi in realtà il 20 novembre 1957., allorché viene abbattuto il vecchio edificio del Legato Mori-Concari e sulla medesima area vengono fatte le fondazioni. La prima somma per poter iniziare i lavori, un milione, viene offerta dai coniugi Vitalino Bardi e Maria Scaravella. Vengono nel frattempo raccolti altri fondi che permettono di procedere alla costruzione dell'edificio in varie riprese. I lavori vengono ultimati nell'aprile 1963 e nel medesimo anno ha inizio il funzionamento della scuola materna. Passano pochi mesi ed avviene il cambio del parroco: don Colombi in novembre viene nominato arciprete di San Giuliano Piacentino e nel gennaio 1964 gli succede don Albino Buzzetti. A lui è affidata la continuazione della preziosa opera con l'arredamento dell'edificio e l'alberatura del parco. La scuola costituirà per diversi anni un provvidenziale punto di riferimento in campo educativo per l'intero paese. Le difficoltà inizieranno allorché la progressiva diminuzione demografica, un fenomeno di carattere generale, sempre più vasto, ed il calo continuo della popolazione creerà preoccupazioni di carattere generale.
Si arriverà ad una decisione; in accordo, e con l'appoggio dell'insegnate Graziella Grignaffini, la scuola materna allargherà il suo sevizio alle vicine frazioni di Spigarolo, Madonna Prati e Samboseto, portando le presenze a circa 40 bambini, serviti di trasporto da un pulmino della parrocchia. Nel 1976 viene fatta l'intonacatura esterna dell'edificio, con il tinteggio e il muro di recinzione. Nei diversi anni successivi vengono frequentemente messi in atto nuovi interventi nell'attrezzatura della scuola, della sala giochi, del refettorio e della cucina.
 
Foto di Davide Comati

Don Frati in Togo per rinsaldare i rapporti con la Diocesi di Atakpamè

Per il tramite del Vescovo Ovidio, dal 17 al 31 gennaio 2024 la Divina Provvidenza ha permesso che potessi andare in Togo, nella Diocesi di Atakpamè; un vero e proprio mandato, in rappresentanza del Vescovo e della Diocesi di Fidenza. A giustificare quest’inattesa e sorprendente missione è stato un evento luttuoso: il decesso, avvenuto il 31 dicembre 2023, della signora Amé Edi Emilia Sassou, mamma di don Armand Ognami che, come è noto è l’attuale vicario parrocchiale della parrocchia fidentina di san Paolo Apostolo, insieme a don Thomas Abalo. A questa dolorosa scomparsa, pochi giorni dopo ha fatto seguito anche quella d’una sorella della donna, la signora Yawa Dodji Apollonia Sassou. Colto da questa duplice ferale notizia, don Armand è partito immediatamente alla volta del Togo per organizzare, coi propri famigliari, un comune rito funebre per la madre e per la zia, oltre che per provvedere alle rispettive sepolture: dopo una settimana, l’ho raggiunto anch’io.

A spiegare la consuetudine locale, per la quale il rito delle esequie può essere posticipato anche a tre mesi dalla morte, concorre pure la necessità di comunicare l’avvenuto lutto a tutti i parenti e amici del decuius: anche a quelli cioè che risiedono al di fuori dei confini del Togo e, addirittura, del continente africano. Ciascuno deve avere la possibilità di partecipare a questi momenti di preghiera: persino i più lontani. Questi aspetti sono tracce d’una forte appartenenza comunitaria, alquanto radicata, a quelle latitudini. All’estrema povertà di mezzi economici fanno ovunque da contraltare animi costantemente gioiosi e festanti, espressi con preghiere, canti e danze, perché nell’intima coscienza d’ognuno v’è la consapevolezza che è il Signore Gesù a guidare la storia e a farlo con infinita misericordia. Le stesse celebrazioni eucaristiche – alquanto nutrite e partecipate! – sono vere e proprie esplosioni di questa gioia, che affonda le proprie radici nell’Evangelo di Gesù Cristo. Persino i funerali non si sottraggono a questa felice regola: per quanto infatti possa essere grande il dolore per la scomparsa d’un proprio caro, la ferma convinzione che il Signore Gesù lo avrà presto con sé nella gloria dei santi è motivo di lode e di benedizione dall’intera assemblea. Nei rapporti interpersonali, poi, non c’è un nemico da guardare con sospetto, ma un fratello o una sorella da accogliere con un sorriso.

Io stesso posso testimoniare d’ver ricevuto un tale trattamento: anche in un incontro di preghiera coi protestanti, in occasione della settimana per l’unità dei cristiani. I rapporti coi cristiani non cattolici e coi fedeli appartenenti ad altre religioni, islam in primis, non sono affatto conflittuali, ma all’insegna d’una reciproca stima: attraverso la valorizzazione dell’umano, riescono a cogliere le altrui differenze, senza mai tacerle o sconfessarle, nella ricerca di ciò che unisce.

Questi giorni sono stati per me una grande lezione in umanità ma, ancor più, sotto il profilo ecclesiale: grazie al Vescovo, ho potuto partecipare all’incontro tra due Diocesi, alquanto distanti geograficamente, ma rese ancor più unite, dopo questo viaggio, da vincoli di comunione, preghiera e carità. La mia spedizione non è rimasta sotto silenzio, tant’è che chiunque abbia incontrato, mi ha pregato di ringraziare il Vescovo Ovidio per questo suo spiccato sensus Ecclesiae e per questa sua delicata sensibilità umana, tutt’altro che scontati.

Don Alessandro Frati

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