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Martina Pacini

«È tempo di cercare il Signore» (Os 10,12)

Pubblichiamo di seguito il messaggio che il Vescovo Ovidio ha scritto per la comunità della Diocesi fidentina in occasione del periodo di riposo estivo.

 

«È tempo di cercare il Signore» (Os 10,12)

 

Alcuni giorni fa la Chiesa, nella liturgia della Parola, proponeva ai credenti l’ascolto di alcune pagine fondamentali tratte dal libro di Osea. Il suo ministero profetico si svolge nel regno del nord (Israele) nel corso dell’VIII secolo a.C. in un tempo difficile segnato da contrasti sociali, economici, politici e, nondimeno, dalla minaccia sempre incombente della potenza militare assira che, con il suo condottiero Tiglat Pileser III (727 a.C.), intende espandere il possedimento dei suoi territori e la sua influenza al di fuori dei suoi confini. Purtroppo, molti benpensanti e stolti in Israele, invece di svolgere il ministero di guide responsabili della comunità sono maggiormente preoccupati di accumulare ricchezze e di trarre profitto, comunque, da una situazione che volge al drammatico per molti, ingrossando in tal modo, sempre di più, le file dei miseri che bramano solo un pezzo di pane per sopravvivere.

È in tale contesto che si erge chiara e senza equivoci la voce profetica di Osea. Anzitutto, il profeta denuncia una situazione di ipocrisia e di ingiustizia che alberga tra le guide della comunità; la popolazione stessa non vuole ammettere il tempo difficile che si sta vivendo. I capi del popolo ricercano false alleanze politiche, ma solo in vista di vedere salvaguardati i propri interessi personali. Quanti dovrebbero tenere alta la speranza e spronare a ricominciare con fiducia si defilano dalle loro responsabilità abbandonando i più poveri e indifesi a una condizione miserevole e desolante.

In secondo luogo, Osea tratteggia i lineamenti di una popolazione affranta, delusa e che cerca consolazione nei culti stranieri, nella magia, nella superstizione abbandonando, in tal modo, il Signore per confidare in divinità che non sono in grado di salvare né di intervenire per il bene, in quanto sono idoli manufatti dalla frustrazione religiosa.

In terzo luogo, il profeta descrive la situazione della comunità di Israele come quella di chi è preso da astenìa, da una debolezza mortale che impedisce qualsiasi possibilità di ripresa e di speranza nel domani. La denuncia di Osea è eloquente: «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7). Questa è l’immagine più eloquente dello sconforto, della rinuncia a qualsiasi risposta rispetto alla situazione contingente. È la descrizione realistica di uno stato di abbandono della propria dignità umana; è la rassegnazione propria della delega a qualsiasi fatica del pensare. In sostanza, il profeta descrive la condizione di chi rinuncia a sperare e, dunque, a vivere. La comunità di Israele preferisce commiserarsi fissando con insistenza lo sguardo sulle proprie difficoltà, le proprie paure lasciandosi paralizzare dall’angoscia e dalla disfatta dichiarata ormai irreparabile. Si tratta di un popolo che non sa più guardare verso il cielo, verso Dio per invocarlo con umiltà e fiducia, perché la salvezza viene dal Signore e non dalle potenze degli eserciti accecati dalla bramosia del potere.

Attestata questa situazione, caratterizzata da un’aria irrespirabile perché ammorbata di rassegnazione e di morte, Osea non desiste dall’alzare la voce e richiamare a ciò che è essenziale: «È tempo di cercare il Signore finché egli venga e diffonda su di voi la giustizia» (Os 10,12). L’appello del profeta lascia trasparire tutta l’urgenza necessaria per ricominciare; ma questo è possibile, non partendo da alleanze umane effimere e deludenti, ma dal ritornare a cercare il Signore.

«È tempo di cercare il Signore». Questo ammonimento è anche per noi oggi. Si leggono sui volti delle persone che incontriamo i tratti della paura, della fatica, dello smarrimento, della delusione e, spesso, dell’angoscia che paralizza impedendo di ricominciare a sperare. L’occhio e la mente sono come avvolti dall’oscurità dell’angoscia, non si riesce più a vedere il bene che opera ancora e in modo significativo; il pensiero stesso è come anchilosato, incapace di discernere con intelligenza quanto accade, interrogandosi sul significato di tutto ciò e su quale responsabilità richiede senza delegare ad altri ciò che compete a ciascuno di noi.

«È tempo di cercare il Signore», ammonisce ancora oggi il profeta risvegliandoci dal torpore, dall’apatia e dall’indifferenza che sono il segno di una grave immaturità umana unita alla stoltezza. Serve a ben poco abbandonarsi a lamentevoli giudizi, che lasciano sempre le cose nella impossibilità di cambiare. Non serve a nulla abbandonarsi al determinismo, alla casualità e aspettare illudendosi che i tempi cambino e che le situazioni si risolvano per conto loro. È necessario, al contrario, che ciascuno riprenda la responsabilità che gli compete come uomo e come donna, come cittadino, come credente, affinché le scelte e, nondimeno, la fatica del pensare di ciascuno concorrano al bene comune, alla edificazione reciproca, alla concordia, al rispetto della dignità di tutti e alla pace.

«È tempo di cercare il Signore» e di imparare a guardare in alto verso di lui, non per fuggire o per rimuovere la complessità della storia contemporanea, ma per imparare a guardare alla nostra vita e all’umanità come la guarda il Signore, nello stile della Lettera enciclica di Papa Francesco «Fratelli tutti», con occhi di compassione e di misericordia, senza disattendere l’opera per la giustizia che scaturisce dall’evangelo.

«È tempo di cercare il Signore». Il tempo dell’estate possa diventare tempo di riposo e di ritrovate relazioni fraterne, tempo di riflessione e di grazia in cui torniamo a cercare il Signore, l’essenziale delle nostre povere vite. «È tempo di cercare il Signore», anche se è lui stesso che si fa trovare sul nostro cammino, rinvigorisce la nostra speranza e ci chiama a ricominciare nel suo nome.

 

+ Ovidio Vezzoli

Via Francigena sud: compiuto dai pellegrini l’ultimo tratto

Ci eravamo lasciati con la speranza che il buon Dio, tanto impegnato in questo periodo, ci avrebbe concesso la possibilità di ripartire per il terzo ed ultimo tratto della Via Francigena del Sud che ci porterà a Roma. Abbiamo iniziato il 13 maggio scorso. Siamo: Bazzini Luciana, Pratizzoli Angela, Allegri Valentino, Antonelli Franco, Bazzini Renato e Cacciali Luciano: squadra ormai consolidata, ma sempre conscia delle difficoltà che un nuovo percorso può riservare anche a causa delle incertezze del periodo, con la volontà di riuscire ancora una volta a portare a termine un cammino, la via Francigena del Sud, che ci ha fatto meravigliare, conoscere, apprezzare ed amare ancora di più il nostro Paese.

E’ bello ora ritornare alla normale vita quotidiana, anche perché ci si rende conto di quanto straordinaria e bellissima sia stata l’esaltante ordinarietà dei 12 giorni trascorsi camminando su antichi basolati romani che erano per noi indicazioni della potenza e della forza romana, portatrice di bellezza e cultura in borghi e cittadine dai nomi sconosciuti ai più, in quanto posti in zone piuttosto lontane dal flusso turistico tradizionale, immersi in boschi secolari di roverelle, faggi, querce e ulivi, con trasparenze fantastiche di luce e aperture stupende su borghi arroccati, per gran parte fortificati, dai quali svettano campanili e  bastioni di difesa.

La memoria corre ad esempio allo stupefacente museo di Teano e alla preparatissima e appassionata guida Michele; e ancora, dopo la fatica della tappa e della salita, la gioia degli occhi regalata dall’indefinibile bellezza della Cattedrale di Sessa Aurunca, al suo pavimento musivo e al suo pulpito, al teatro romano (il secondo per grandezza dopo quello di Napoli) e alla rocca normanna. E dopo il duro e caldissimo scollinamento dell’appennino campano (32/34°), camminando per ore nell’assolatissima pianura fra ulivi e rinfrescati dal un gentilissimo sig. Pasquale che ci ha offerto ombra, acqua fresca, tavolo, sedie e frutta (arance e albicocche) di sua produzione, l’altra riva del Garigliano ci fa entrare nel Lazio e a Minturno, che presenta un interessante comprensorio archeologico (teatro e foro) e una parte considerevole dell’acquedotto romano di Vespasiano.

Un interminabile lungomare ci ha quindi portato a Formia, antica città romana di cui conserva vestigia importanti, tra cui il teatro antico trasformato in abitazioni, la tomba di Cicerone e il “Cisternone”; purtroppo nessuno visitabile per mancanza di personale! Ci ha colpito soprattutto il suo antico e suggestivo centro storico. La memoria corre libera alla fatica, ben ripagata, della visita a Gaeta con la sua rocca, le sue chiese e …la sorpresa di vedere un tronco di colonna romana con capitello, ben piazzata in un angolo del piccolo bagno di un bar! A Gaeta ci ha fatto anche piacere incontrare gli amici fidentini dell’associazione "don Camillo" in gita nel basso Lazio.

Le emozioni sono tante e quasi si sovrappongono nel ricordo… come Terracina e il suo centro storico, ricco di interessantissimi reperti romani. Come non ricordare la gentilezza della sig.ra Rosanna: da km si viaggiava su asfalto con temperature che superavano i 30° senza nessuna ombra per ripararci... avevamo appena salutato uno scout francese che da Bordeaux andava a Brindisi per Gerusalemme, quando sentiamo chiamarci da una signora, la gentilissima Rosanna, che ci invita ad entrare sotto il suo pergolato per riposarci all’ombra e attorno ad un tavolo che bandisce con acqua, patatine e frutta e si dice dispiaciuta di non aver potuto fermare il giovane pellegrino appena passato in direzione opposta. Anche il marito ci raggiunge dopo aver smesso appositamente di lavorare e si mette a parlare animatamente con noi mentre approfittiamo per dar fondo ai nostri panini e, rifocillati, ripartiamo ringraziando.

Il cammino è ancora lungo e il caldo imperversa: lo combattiamo con fermate brevi sotto gli ulivi per dissetarci all’ombra. Procediamo sotto un sole battente ma finalmente in lontananza intravediamo il massiccio campanile dell’Abbazia di Fossanova, che raggiungiamo dopo più di cinque ore di cammino. L’Abbazia è l’esempio più alto di architettura cistercense in Italia: fondata da un gruppo di monaci provenienti da Chiaravalle della Colomba, qui vi morì S. Tommaso d’Aquino; è immensa, ed è limitativo definirla bellissima. Dopo una meravigliata visita al complesso e alla cella dove morì il santo, si riprende lo spostamento. E’ difficile ricordare le bellezze e le immagini che si sovrappongono ancora una volta abbagliati dal sole, fino ad  intravedere il particolarissimo duomo di Priverno, affiancato da uno svettante campanile romanico arricchito da formelle colorate in maiolica, (esempio che rivedremo altrove). L’ostello è fuori del paese ma in posizione ventosa e fresca e questo ci risolleva, dopo ormai otto ore di cammino.

Per molti motivi non è possibile dimenticare la tappa da Priverno a Sezze, interessante paesaggisticamente ma durissima (350 m. di dislivello) per gran parte in un sentiero sotto il sole battente, tracciato dalle mandrie: ma la vista è immensa e anche consolatoria sulla piana dell’Agro Pontino fino al mare. Le immagini si spostano su bellezze dove si intersecano la natura e l’uomo in simbiosi, l’ Abbazia cistercense di Valvisciolo, nella Valletta dell’Usignolo e l’Oasi della Ninfa, dove l’antica famiglia Caetani nei secoli ha esaltato la varietà della natura in un parco- giardino di straordinaria bellezza e che ancora conserva al suo interno anche le testimonianze dell’antico borgo medievale. A pochi chilometri l’altro borgo, Sermoneta, antico feudo dei Caetani, dove questa famiglia ha esaltato la propria potenza con l’imponente rocca, ma contornata dal gusto e dalla bellezza della semplicità realizzativa del borgo stesso e dalla mura che lo circondano. Qui nuovo incontro con i fidentini, anche loro alla ricerca del bello, quindi a fine giornata ecco il borgo svettante di Cori e il piacevole incontro con Elsa, carissima e gentilissima amica romana di Angela che è venuta per incontrarci e omaggiarci.

Incontriamo poi l’affascinante cittadina di Nemi, “regina delle fragoline”, con il suo stupendo lago color smeraldo e il centro storico medioevale coloratissimo. Ormai si sente l’aria di Roma, la realizzazione del sogno si avvicina sempre più anche se a fatica. Velletri è bella e ordinata città dove inizia la strada dei vini dei Castelli Romani: ma l’assaggio è pericoloso, troppo caldo. E’ stato lungo, duro e caldissimo lo spostamento a Castel Gandolfo, uno dei borghi più belli d’Italia che si specchia nell’azzurro del lago vulcanico. La fortuna in questo caso non ci sorride: i giardini Pontifici sono chiusi essendo lunedì. La notte è lunga, ma il sogno sta diventando realtà: poter chiudere la nostra ennesima avventura camminando sulla REGINA VIARUM, la Via Appia, calcata da Imperatori, santi e pellegrini, da tempo interminabile ed ora anche da noi semplici pellegrini.  

Il basolato luccica e ci abbaglia, i monumenti ci esaltano, arriviamo alla grandiosa tomba di Cecilia Metella, Circo di Massenzio, Porta S. Sebastiano e al suo termine la chiesa del “Quo Vadis, Domine?” (dove la tradizione riporta che Pietro abbia incontrato Cristo che entrava in città mentre lui per paura ne stava uscendo, Pietro allora tornò indietro per essere imprigionato e crocifisso)… Porta S. Sebastiano, Terme di Caracalla, l’Arco di Costantino, il Colosseo e finalmente Piazza S. Pietro, dove abbracciati dal colonnato del Bernini, l’emozione ci toglie la parola pensando a quanto fatto, circa 250 Km.

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(i pellegrini in Piazza San Pietro)

Con temperature che spesso superavano i 30°, possiamo essere orgogliosi di noi contando i nostri arrivi a Roma: i fratelli Luciana e Renato Bazzini e Valentino Allegri con 4, Franco Antonelli con 3 e Angela Pratizzoli e Luciano Cacciali con 1. La fila per entrare a S. Pietro è lunghissima; per il ritiro del TESTIMONIUM rimandiamo al giorno dopo, non senza aver ringraziato i nostri Santi protettori.

Ed ora, forse e se DIO vorrà: GERUSALEMME.

I pellegrini: Bazzini Luciana, Pratizzoli Angela, Allegri Valentino, Antonelli Franco, Bazzini Renato e Cacciali Luciano

 

16 luglio 2017 - 16 luglio 2022: grazie Vescovo Ovidio!

16 luglio 2022: nel quinto anniversario dell’ingresso di mons. Ovidio Vezzoli nella Diocesi di Fidenza la redazione de “Il Risveglio”, nel formulare i migliori auguri per la continuazione del suo mandato, ringrazia innanzitutto il Signore per il grande dono della sua presenza insieme agli innumerevoli doni ricevuti in questo primo tratto del suo percorso ministeriale.

Questi cinque anni sono stati segnati da gravi avvenimenti, come la pandemia e la guerra in Ucraina, che hanno messo a dura prova la Chiesa universale e quindi anche la nostra piccola comunità diocesana. Ma anche in tempi difficili come questo il Vescovo non ha mai fatto mancare il suo messaggio di fiducia e di speranza per evitare al popolo dei fedeli di cedere alla paura e alla rassegnazione. Fin dall’inizio del mandato il suo ministero è stato illuminato dalla nuova luce che il Concilio Vaticano II aveva fatto scaturire più di 50 anni fa. La figura del Vescovo vista cioè come il perno ministeriale della Chiesa, segno e garanzia di unità sia dentro la propria Chiesa particolare che nel rapporto tra le diverse Chiese, anello di congiunzione tra la dimensione locale e quella universale della Chiesa. Non più un semplice “luogotenente” del Papa, ma un vero e proprio pastore che nella pienezza dell’Ordine sacro guida la Chiesa particolare in comunione con la Chiesa universale. Con il triplice munus: insegnare, governare, santificare. Pur senza enfatizzare la novità, si deve riconoscere che il Concilio Vaticano II ha fatto finalmente posto alla Chiesa particolare nella riflessione magisteriale. La strada era stata aperta dalla costituzione “Sacrosanctum concilium” (n. 41) dove si legge: “La principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucarestia, alla medesima preghiera, al medesimo altare presieduto dal vescovo e circondato dal suo presbiterio e dai ministri”. Ma è nella costituzione “Lumen gentium”, e proprio nel capitolo dedicato all’episcopato, che il Concilio Vaticano II ha offerto i testi più significativi circa la teologia della Chiesa particolare. Al n. 23, nel contesto della trattazione sulla collegialità, si parla delle “Chiese particolari, formate a immagine della Chiesa universale nelle quali, e a partire dalle quali, esiste la sola e unica Chiesa cattolica”. Con una sottolineatura importante: una Chiesa particolare è veramente Chiesa solo se il vescovo che la presiede è in comunione con gli altri vescovi e soprattutto con il vescovo di Roma. E con Papa Bergoglio il Vescovo Ovidio ha mostrato di essere in sintonia fin dall’inizio: a partire dall’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” fino alla recente enciclica “Fratelli tutti”.

Degli elementi che hanno caratterizzato il suo episcopato in questi cinque anni abbiamo posto in evidenza il suo apporto determinante nell’avviare il cammino sinodale e le tracce per una interpretazione corretta dell’enciclica “Fratelli tutti” cui ha dedicato un libretto ricco di stimoli e di suggestioni.

Ma è soprattutto alla Parola di Dio che egli ha dedicato le energie migliori: una Parola letta, ascoltata, studiata, meditata e pregata per essere accolta con la vita. L’esortazione a ritornare alle fonti della Parola, vera sorgente di evangelizzazione, è fondata sul testo contenuto nella Lettera agli Ebrei: “La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio. Essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12-13). Grazie alla lectio divina con la quale il Vescovo Ovidio ha educato l’intera Diocesi, la Parola di Dio è stata esaltata in tutti i suoi aspetti fino a diventare parte integrante del cammino di fede per ogni cristiano, consacrato o laico.

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(il Vescovo Ovidio in occasione di una lectio divina nella chiesa di Sant'Antonio a Salsomaggiore Terme)

Anche nel cammino sinodale iniziato con la santa Messa celebrata in Cattedrale il 17 ottobre scorso, le indicazioni del Vescovo Ovidio si sono rivelate illuminanti per dare un orizzonte preciso a quella consultazione “dal basso” che ha impegnato nell’arco di sei mesi parrocchie, associazioni e movimenti presenti in Diocesi. Coadiuvato dal Vicario per la Pastorale, don Marek Jaszczak, ha fortemente voluto l’incontro con gli uffici pastorali a Caderzone perché la sinodalità, al di là dei buoni propositi, venisse vissuta come occasione preziosa non solo per “camminare insieme” ma per essere Chiesa capace di ascoltare e di ascoltarsi in una dinamica di confronto e di scambio dove tutti i soggetti si sentono coinvolti e partecipi. E a Caderzone Terme ha avuto luogo un secondo momento, verso la metà di giugno, per le necessarie verifiche del cammino compiuto e ulteriori indicazioni per proseguire il percorso nel prossimo autunno. Prima ancora (e precisamente il 21 maggio) era stato convocato il Consiglio Pastorale Diocesano, aperto da una relazione del vicario per la pastorale sulle principali risultanze emerse all’interno degli 87 gruppi sinodali svoltosi in diocesi. Nelle conclusioni il Vescovo, dopo aver ringraziato don Marek e l’equipe diocesana per il lavoro compiuto, ha ricordato che il cammino sinodale sotto la guida dello Spirito Santo ha il compito di far emergere il volto missionario della Chiesa capace di parlare a tutti all’interno di una realtà complessa come quella che stiamo vivendo attualmente. Parafrasando la domanda formulata da Gesù a Cesarea di Filippo, potremmo chiederci: le persone che vivono intorno a noi cosa pensano della Chiesa? Quali sono le aspettative nei suoi riguardi rispetto ai grandi problemi che travagliano il mondo attuale? Una fase si è chiusa ma il difficile viene proprio adesso. L’oggi è il terreno della sfida da raccogliere. E quindi la responsabilità è grande, come già insegnava Gesù ai discepoli: “Voi siete il sale della terra e la luce del mondo” (Mt 5,13-16).

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(Il Vescovo Ovidio a Caderzone insieme ai direttori degli Uffici diocesani per la Pastorale)

Fin dal momento in cui viene pubblicata (3 ottobre del 2020) l’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” diventa per il Vescovo Ovidio un punto di riferimento costante sia nei suoi discorsi che negli scritti. Egli ne coglie immediatamente la portata storica, aperta dal documento sulla fratellanza umana (4 febbraio del 2019) siglato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam della moschea di Al Azhar, Ahmad al Tayyeb.

Dopo la presentazione in Cattedrale da parte del francescano p. Dino Dozzi, si incarica lui stesso di favorire la conoscenza del documento pontificio in Diocesi con una riflessione a tutto campo che coinvolge parrocchie, associazioni, movimenti. Ma non si ferma qui. Con la pubblicazione di un volume dal titolo “Tracce di interpretazione” (23 ottobre 2021) torna a prendere in esame il testo dell’enciclica con quattro approfondimenti: 1) gli antecedenti; 2) il Buon samaritano; 3) le ombre di una umanità affaticata; 4) quale luce può vincere la notte dell’umanità? Con una comunicazione aperta dove il Vescovo Ovidio indica alcune coordinate per reagire nella speranza alle difficoltà del momento attuale, segnato dalla pandemia.

Davanti all’illusione tecnocratica, al delirio di onnipotenza e al cinismo dell’indifferenza occorre la capacità di scrutare un orizzonte nuovo che non sia quello autoreferenziale del proprio ego. Una prima attenzione è non fuggire, ma permanere nella fedeltà e nella concretezza della storia in cui siamo. Ciò significa saper indicare con intelligenza una direzione di senso che mette nella condizione di orientare sul piano economico, politico e sociale. Le due lettere encicliche di Papa Francesco, “Laudato sì” (24 maggio 2015), dedicata al tema della cura della casa comune, e “Fratelli tutti” (3 ottobre 2020) interrogano tutti responsabilmente sui temi legati alla questione ambientale e sui temi sociali, che il nostro tempo individualista aveva cercato di rimuovere. Una seconda attenzione è caratterizzata dal fatto che la fraternità si propone come luogo storico nel quale la speranza trova una casa dove prendere dimora. Papa Francesco lo sottolinea con insistenza: nessuno si salva da solo, tutto è in relazione con tutto. Da sole la tecnica e la scienza non bastano a dare risposta alle domande fondamentali che salgono dal cuore degli umani e interrogano la loro coscienza. Per non cedere alla paura e alla rassegnazione occorre una speranza che è di tutti nella ricerca faticosa di un futuro che non è la volgare ripetizione di ciò che già conosciamo. Vi è la necessità urgente di ricostruire l’umano che è stato smarrito dopo che l’umano è stato barattato con la tecnocrazia ritenendolo semplicemente uno scarto. In tal senso è necessario ricominciare dall’Evangelo, autentico lievito in vista di una trasformazione profonda della vita sociale e fondamento di una speranza che non delude. Due figure si impongono come maestri e testimoni nelle pagine finali: San Francesco d’Assisi (1182 – 1226) ed il beato Charles de Foucauld (1858 – 1916), “il fratello universale”.

Per questo e per molto altro diciamo: grazie, vescovo Ovidio!

Busseto, grazie al contributo di tanti volontari rimesso a nuovo l’oratorio parrocchiale

Una squadra di sei muratori ha dedicato gratuitamente un'intera giornata di lavoro per la manutenzione ordinaria dell'oratorio parrocchiale. "E' un segno bellissimo di dedizione alla sicurezza e al bene di tanti ragazzi che ogni giorno frequentano l'oratorio" - hanno detto il parroco don Luigi Guglielmoni e il vicario parrocchiale don Davide Grossi. "Non abbiamo chiesto noi questa prestazione: è scaturita dal loro buon cuore e questo rende ancora più significativa la loro opera, ben 30 ore di lavoro" hanno precisato i sacerdoti, che sono stati impegnati a rivitalizzare l'oratorio con le attività estive del Grest.
E' molto bello vedere un coinvolgimento sempre maggiore di volontari per animare tutto l'anno questa struttura, che è stata ed è riferimento per tanti ragazzi e famiglie del territorio.
Dopo l'abbattimento del porticato, lo spazio esterno è diventato più ampio e vari interventi migliorativi sono stati già effettuati. In pochi mesi, l'area ha cambiato volto, grazie a varie imprese che si sono rese disponibili gratuitamente per l'abbattimento e la rimozione delle macerie, la posa dei plinti e dei pali con la rete, le nuove tubazioni dell'acqua, le rifiniture nelle pareti delle antiche mura ecc. I tecnici intanto stanno elaborando un progetto di restauro dell'oratorio, per renderlo sempre più sicuro, accogliente e bello. "La sfida educativa impone di investire risorse per le nuove generazioni, offrendo spazi di aggregazione e presenze adulte significative", concludono i sacerdoti, riconoscenti all'associazione ANSPI, alle catechiste e ai giovani che si prendono cura dell'oratorio.
 
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