BannerTopDEF2

Martina Pacini

Gigliola Alvisi per la Direzione Didattica Ilaria Alpi di Fidenza

Gigliola Alvisi on line per la 
Direzione Didattica Ilaria Alpi
Importanti appuntamenti degli alunni con la scrittrice di libri per ragazzi
Anche quest'anno la Direzione Didattica "Ilaria Alpi" di Fidenza ha organizzato il "Progetto Lettura", al termine del quale le classi incontreranno online un autore di libri per ragazzi.
Dopo Alberto Cola con il suo libro "Asad e il segreto dell'acqua", che ha regalato forti emozioni grazie all'avventura nel deserto di tre ragazzi, quest'anno sarà la volta di Gigliola Alvisi e della sua vivace penna.
Ben diciannove classi della scuola saranno coinvolte nella lettura di diversi libri della Alvisi: tra una mummia in fuga, un misterioso lupo e le avventure di alcuni simpatici bambini, vengono affrontati con semplicità e un pizzico di ironia argomenti importanti come la diversità, l'amicizia e i rapporti familiari.
Senza mai eccedere o diventare banale, la Alvisi ci stupisce con la sua scrittura delicata, che sa affrontare grandi tematiche con semplicità e creatività.
L’autrice è in grado di coinvolgere il lettore stimolandone l’interesse, appassionandolo e tenendolo incollato al libro fino al raggiungimento del finale a sorpresa.
I ragazzi delle classi coinvolte avranno modo di intervistare l'autrice dei libri letti con i loro insegnanti e potranno soddisfare le proprie curiosità in merito al lavoro dello scrittore, a come superare il panico della pagina bianca e a come trovare le idee giuste per scrivere.
 
Inoltre potranno chiedere informazioni sulla giornalista Ilaria Alpi, alla quale è intitolata la Direzione Didattica, e sul suo reportage in Somalia realizzato assieme al collega e amico Miran Hrovatin.
La Alvisi, infatti, è autrice del libro "Ilaria Alpi. La ragazza che voleva raccontare l'inferno": un testo colmo di parole coraggiose e ricco di speranza per un mondo migliore.
 
Degna conclusione di un anno di lavoro nel quale gli alunni hanno affrontato diverse tipologie testuali, hanno analizzato storie, sintetizzato racconti e prodotto pagine di riflessioni personali.
Il 16 e il 17 maggio, dopo il saluto del Dirigente Scolastico Lorenza Pellegrini e la sapiente e preziosa regia dell'insegnante Giordana Tricò, referente della progettualità, le scuole primarie "De Amicis" e "Ongaro" saranno animate da forti emozioni grazie a questo incontro, nella speranza di farsi svelare da Gigliola Alvisi la "ricetta segreta" per scrivere un libro.
 
A.P.

Giornata di Preghiera per le Vocazioni: il Messaggio di Papa Francesco

L’8 maggio 2022, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 59a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema “Chiamati a edificare la famiglia umana”. Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Francesco invia per l’occasione ai Vescovi, ai sacerdoti, ai consacrati ed ai fedeli di tutto il mondo. 

 

Cari fratelli e sorelle!

Mentre in questo nostro tempo soffiano ancora i venti gelidi della guerra e della sopraffazione e assistiamo spesso a fenomeni di polarizzazione, come Chiesa abbiamo avviato un processo sinodale: sentiamo l’urgenza di camminare insieme coltivando le dimensioni dell’ascolto, della partecipazione e della condivisione. Insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà vogliamo contribuire a edificare la famiglia umana, a guarirne le ferite e a proiettarla verso un futuro migliore. In questa prospettiva, per la 59a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, desidero riflettere con voi sull’ampio significato della “vocazione”, nel contesto di una Chiesa sinodale che si pone in ascolto di Dio e del mondo.

Chiamati a essere tutti protagonisti della missione

La sinodalità, il camminare insieme è una vocazione fondamentale per la Chiesa, e solo in questo orizzonte è possibile scoprire e valorizzare le diverse vocazioni, i carismi e i ministeri. Al tempo stesso, sappiamo che la Chiesa esiste per evangelizzare, uscendo da sé stessa e spargendo il seme del Vangelo nella storia. Pertanto, tale missione è possibile proprio mettendo in sinergia tutti gli ambiti pastorali e, prima ancora, coinvolgendo tutti i discepoli del Signore. Infatti, «in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 120). Bisogna guardarsi dalla mentalità che separa preti e laici, considerando protagonisti i primi ed esecutori i secondi, e portare avanti la missione cristiana come unico Popolo di Dio, laici e pastori insieme. Tutta la Chiesa è comunità evangelizzatrice.

Chiamati a essere custodi gli uni degli altri e del creato

La parola “vocazione” non va intesa in senso restrittivo, riferendola solo a coloro che seguono il Signore sulla via di una particolare consacrazione. Tutti siamo chiamati a partecipare della missione di Cristo di riunire l’umanità dispersa e di riconciliarla con Dio. Più in generale, ogni persona umana, prima ancora di vivere l’incontro con Cristo e abbracciare la fede cristiana, riceve con il dono della vita una chiamata fondamentale: ciascuno di noi è una creatura voluta e amata da Dio, per la quale Egli ha avuto un pensiero unico e speciale, e questa scintilla divina, che abita il cuore di ogni uomo e di ogni donna, siamo chiamati a svilupparla nel corso della nostra vita, contribuendo a far crescere un’umanità animata dall’amore e dall’accoglienza reciproca. Siamo chiamati a essere custodi gli uni degli altri, a costruire legami di concordia e di condivisione, a curare le ferite del creato perché non venga distrutta la sua bellezza. Insomma, a diventare un’unica famiglia nella meravigliosa casa comune del creato, nell’armonica varietà dei suoi elementi. In questo senso ampio, non solo i singoli, ma anche i popoli, le comunità e le aggregazioni di vario genere hanno una “vocazione”.

Chiamati ad accogliere lo sguardo di Dio

In questa grande vocazione comune, si inserisce la chiamata più particolare che Dio ci rivolge, raggiungendo la nostra esistenza con il suo Amore e orientandola alla sua meta ultima, a una pienezza che supera persino la soglia della morte. Così Dio ha voluto guardare e guarda alla nostra vita.

Si attribuiscono a Michelangelo Buonarroti queste parole: «Ogni blocco di pietra ha al suo interno una statua ed è compito dello scultore scoprirla». Se questo può essere lo sguardo dell’artista, molto più Dio ci guarda così: in quella ragazza di Nazaret ha visto la Madre di Dio; nel pescatore Simone figlio di Giona ha visto Pietro, la roccia sulla quale edificare la sua Chiesa; nel pubblicano Levi ha ravvisato l’apostolo ed evangelista Matteo; in Saulo, duro persecutore dei cristiani, ha visto Paolo, l’apostolo delle genti. Sempre il suo sguardo d’amore ci raggiunge, ci tocca, ci libera e ci trasforma facendoci diventare persone nuove.

Questa è la dinamica di ogni vocazione: siamo raggiunti dallo sguardo di Dio, che ci chiama. La vocazione, come d’altronde la santità, non è un’esperienza straordinaria riservata a pochi. Come esiste la “santità della porta accanto” (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 6-9), così anche la vocazione è per tutti, perché tutti sono guardati e chiamati da Dio.

Dice un proverbio dell’Estremo Oriente: «Un sapiente, guardando l’uovo, sa vedere l’aquila; guardando il seme intravvede un grande albero; guardando un peccatore sa intravvedere un santo». Così ci guarda Dio: in ciascuno di noi vede delle potenzialità, talvolta ignote a noi stessi, e durante tutta la nostra vita opera instancabilmente perché possiamo metterle a servizio del bene comune.

La vocazione nasce così, grazie all’arte del divino Scultore che, con le sue “mani” ci fa uscire da noi stessi, perché si stagli in noi quel capolavoro che siamo chiamati a essere. In particolare, la Parola di Dio, che ci libera dall’egocentrismo, è capace di purificarci, illuminarci e ricrearci. Mettiamoci allora in ascolto della Parola, per aprirci alla vocazione che Dio ci affida! E impariamo ad ascoltare anche i fratelli e le sorelle nella fede, perché nei loro consigli e nel loro esempio può nascondersi l’iniziativa di Dio, che ci indica strade sempre nuove da percorrere.

Chiamati a rispondere allo sguardo di Dio

Lo sguardo amorevole e creativo di Dio ci ha raggiunti in modo del tutto singolare in Gesù. Parlando del giovane ricco, l’evangelista Marco annota: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò» (10,21). Su ciascuno e ciascuna di noi si posa questo sguardo di Gesù pieno di amore. Fratelli e sorelle, lasciamoci toccare da questo sguardo e lasciamoci portare da Lui oltre noi stessi! E impariamo a guardarci anche l’un altro in modo che le persone con cui viviamo e che incontriamo – chiunque esse siano – possano sentirsi accolte e scoprire che c’è Qualcuno che le guarda con amore e le invita a sviluppare tutte le loro potenzialità.

La nostra vita cambia, quando accogliamo questo sguardo. Tutto diventa un dialogo vocazionale, tra noi e il Signore, ma anche tra noi e gli altri. Un dialogo che, vissuto in profondità, ci fa diventare sempre più quelli che siamo: nella vocazione al sacerdozio ordinato, per essere strumento della grazia e della misericordia di Cristo; nella vocazione alla vita consacrata, per essere lode di Dio e profezia di nuova umanità; nella vocazione al matrimonio, per essere dono reciproco e generatori ed educatori della vita. In generale, in ogni vocazione e ministero nella Chiesa, che ci chiama a guardare gli altri e il mondo con gli occhi di Dio, per servire il bene e diffondere l’amore, con le opere e con le parole.

Vorrei qui menzionare, al riguardo, l’esperienza del dott. José Gregorio Hernández Cisneros. Mentre lavorava come medico a Caracas in Venezuela, volle farsi terziario francescano. Più tardi, pensò di diventare monaco e sacerdote, ma la salute non glielo permise. Comprese allora che la sua chiamata era proprio la professione medica, nella quale egli si spese in particolare per i poveri.  Allora, si dedicò senza riserve agli ammalati colpiti dall’epidemia di influenza detta “spagnola”, che allora dilagava nel mondo. Morì investito da un’automobile, mentre usciva da una farmacia dove aveva procurato medicine per una sua anziana paziente. Testimone esemplare di cosa vuol dire accogliere la chiamata del Signore e aderirvi in pienezza, è stato beatificato un anno fa.

Convocati per edificare un mondo fraterno

Come cristiani, siamo non solo chiamati, cioè interpellati ognuno personalmente da una vocazione, ma anche con-vocati. Siamo come le tessere di un mosaico, belle già se prese ad una ad una, ma che solo insieme compongono un’immagine. Brilliamo, ciascuno e ciascuna, come una stella nel cuore di Dio e nel firmamento dell’universo, ma siamo chiamati a comporre delle costellazioni che orientino e rischiarino il cammino dell’umanità, a partire dall’ambiente in cui viviamo. Questo è il mistero della Chiesa: nella convivialità delle differenze, essa è segno e strumento di ciò a cui l’intera umanità è chiamata. Per questo la Chiesa deve diventare sempre più sinodale: capace di camminare unita nell’armonia delle diversità, in cui tutti hanno un loro apporto da dare e possono partecipare attivamente.

Quando parliamo di “vocazione”, pertanto, si tratta non solo di scegliere questa o quella forma di vita, di votare la propria esistenza a un determinato ministero o di seguire il fascino del carisma di una famiglia religiosa o di un movimento o di una comunità ecclesiale; si tratta di realizzare il sogno di Dio, il grande disegno della fraternità che Gesù aveva nel cuore quando ha pregato il Padre: «Che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Ogni vocazione nella Chiesa, e in senso ampio anche nella società, concorre a un obiettivo comune: far risuonare tra gli uomini e le donne quell’armonia dei molti e differenti doni che solo lo Spirito Santo sa realizzare. Sacerdoti, consacrate e consacrati, fedeli laici camminiamo e lavoriamo insieme, per testimoniare che una grande famiglia umana unita nell’amore non è un’utopia, ma è il progetto per il quale Dio ci ha creati.

Preghiamo, fratelli e sorelle, perché il Popolo di Dio, in mezzo alle vicende drammatiche della storia, risponda sempre più a questa chiamata. Invochiamo la luce dello Spirito Santo, affinché ciascuno e ciascuna di noi possa trovare il proprio posto e dare il meglio di sé in questo grande disegno!

Roma, San Giovanni in Laterano, 8 maggio 2022, IV Domenica di Pasqua

Papa Francesco

La storia dell'effigie della Madonna nel quartiere Oriola

di Annarita Cacciamani

 

Lunedì 2 maggio è iniziata la recita del Santo Rosario presso il quartiere Oriola di Fidenza, davanti all’effige della Madonna posta in una nicchia in via Aimi. Il Rosario verrà recitato ogni sera alle ore 20 fino alla fine del mese di maggio, il mese dedicato a Maria Santissima, e sarà condotto da Cristina Rubini.

Lunedì è stata ricordata anche Adelaide Mazza, sorella del vescovo emerito di Fidenza mons. Carlo Mazza, scomparsa pochi giorni fa. Adelaide, durante la sua permanenza a Fidenza, era solita partecipare alla recita del Rosario al quartiere Oriola.

La tradizione della recita del Santo Rosario all’Oriola ha una storia di oltre un secolo. A raccontarla è Nino Secchi che oggi porta avanti questo momento di fede e devozione.

La presenza della “Madonna del dito”, nel quartiere Oriola, ha superato abbondantemente il secolo, come datata è la tradizione della recita del Santo Rosario, per tutto il mese di maggio, dinanzi la sacra effige.

“Madonna del dito”, pare uno strano appellativo per la Santa Vergine, ma questo nasce dal ritrovamento della statua tra le macerie causate dal bombardamento dell’ultima guerra. L’effige della Madonna venne recuperata dall’oriolano Ugo Secchi (che come ogni borghigiano aveva uno stranome: “Bätilanä”): miracolosamente integra, se non mancante di un dito e, da qui, il curioso e singolare identificativo.

La statua raffigurante la Madre Celeste, con in braccio il bambino Gesù’, è in legno, certamente non pregiato e non ha sicuramente un valore artistico, ma grande è il valore che la gente d’Oriola Le ha da sempre attribuito. La si può far risalire alla fine dell’Ottocento. L’effige della Madonna ha sempre trovato posto in una nicchia collocata nel muro di cinta della vecchia e rinomata "Tipografia Mattioli" che, dall’incrocio con via Cavour, si estendeva sino alla fine, piu’ o meno, di via Vito Aimi.

Senza titolo

(Foto del 1959. Siamo in via Vito Aimi (Oriola). A destra la vecchia Tipografia Mattioli e, verso il fondo della foto, la nicchia in cui era posta la Madonna dell’Oriola (cornice bianca) poi il portone in legno e la casa delle sorelle Piroli (come descritto nel breve racconto).

 

A mia memoria le cure della nicchia e dell'effige della Madonna – nel dopoguerra – erano assolte dalle sorelle Adele e Maria Piroli, la cui abitazione era proprio contigua al portone in legno che delimitava il cortile della tipografia. Maria Piroli, signorile e molto distinta, lavorava nella Segreteria del Municipio e, con la sorella Adele, si preoccupava dei fiori e dei ceri che venivano posti in una specie di turibolo metallico che, tramite una catena e una carrucola, si abbassava e veniva poi rimesso dinanzi la Madonna una volta acceso il “lumino”. Ricordiamo anche la signora Amelia, sposata Maresti, sorella del capo delle guardie municipali Signor Maggi (la famiglia proveniva da San Giovanni in Persiceto). Anche le sue cure e la sua dedizione alla Madonna erano veramente dettate da una grande fede che, oggi, raramente possiamo ritrovare, specialmente tra le nuove generazioni.

Ristrutturata la "Tipografia Mattioli" (ne rimase il nome, ma ai Mattioli subentrarono i nuovi gestori: Dodi, Franceschetti e Negrotti), la parte prospicente via Vito Aimi vide sorgere il palazzo, non ancora tinteggiato, nel quale si riservò una piccola nicchia in cui alloggiare la statua della Madonna: uno spazio davvero minuscolo se paragonato all’antica collocazione (per la precisione siamo nel 1963).

L’importante, comunque, per il quartiere è la presenza della Madonna indipendentemente dallo spazio a Lei riservato: una presenza che identifica la stessa gente del quartiere che ha sempre rivolto le proprie preghiere a quella “effige”, considerando appunto la Madonna del Dito come protettrice del quartiere stesso.

Col passare del tempo, come in tutta la città, l’Oriola ha subito la “multi etnia” dilagante, ma la presenza della Madonna è significativa e, oggi, rappresenta anche una tradizione, un riferimento ormai storico che non deve andare perduto; un legame con un passato che, purtroppo, il divenire del tempo pare voler cancellare.

Negli ultimi decenni ad animare il Santo Rosario si sono alternate diverse persone: dopo le sorelle Piroli, ricordo la signora Gilda Barbiero, sposata Pertusi che, col marito Albino, gestiva la tabaccheria in via Cavour, quella verso piazza Garibaldi. Poi da anni e sino ad oggi Cristina Rubini che, nonostante gli impegni davvero pressanti del suo lavoro, è una presenza e una certezza veramente importante.

La Messa da Requiem di Verdi

La Messa da Requiem di Verdi

di

Dino Rizzo

 

Per addentrarsi nel Requiem di Verdi ritengo utile conoscere le descrizioni della prima esecuzione avvenuta il 22 maggio 1874, venerdì, «mattina grigia e piovosa», alle ore 11 in San Marco a Milano. Orario insolito e obbligato perché avvenuta all’interno di una Messa, che all’epoca non poteva essere celebrata dopo mezzogiorno. L’impostazione della liturgia fu annunciata da La Lombardia: «L’area del tempio rimane divisa in tre parti: quella destinata al clero, quella alla musica, e quella concessa al pubblico. Al clero è riservato il presbiterio in cui sarà celebrato il rito funebre; pontificherà in questa circostanza mons. Giuseppe Calvi, preposto del Capitolo metropolitano. La musica occupa l’intero spazio sotto la cupola, compreso il braccio sinistro della crociera. I musicisti sono quasi per intero collocati a sinistra e dall’opposto lato i cantori, uomini e donne; per queste ultime fu convenuto l’intero vestito nero e il capo coperto da un ampio velo di lutto». Espediente necessario per nascondere alla vista dei fedeli le donne che la disciplina ecclesiastica escludeva dal servizio liturgico e corale. Rito che La nuova Illustrazione universale del 14 giugno 1874 definì «messa secca, cioè senza consacrazione del pane e del vino» (l’attuale Liturgia della Parola) in cui la collocazione degli artisti voluta da Verdi pose al centro l’altare e il celebrante con paramenti liturgici che il critico Edoardo Spagnolo descrisse come «magnifiche vesti» nella recensione pubblicata da La Gazzetta di Milano il 26 maggio 1874. Una immagine imponente che infastidì lo stesso Spagnolo, ateo dichiarato, che preferì recensire il Requiem dopo averlo riascoltato al Teatro alla Scala la sera successiva: «ecco perché non ne ho parlato subito, e parlo invece adesso dopo aver udito la Messa al teatro alla Scala, non più in luogo dove si adora il Salvatore, che soffre per l’umanità e si venerano le sante persone alla cui intercessione si rivolge il fedele; ma tra le profane pareti d’un teatro dove la luce pallida e melanconica dei ceri è surrogata dalla luce brillante delle fiammelle a gas, dove non sento i profumi dell’incenso ma quelli plastici della bellezza che si mostra dai cento palchi; e la mia intelligenza è più libera e i sensi non intorpiditi». Svincolato pertanto da influenze esterne, Edoardo Spagnolo scrisse: «la Messa da Requiem mi rappresenta sempre l’arte posta a servizio d’un principio che non so accettare, ma quelle melodie, frutto di un poderoso ingegno, sono pur sempre la glorificazione, l’apoteosi della fede». Spagnolo desiderava affermare che Verdi era un credente? Non penso. Ritengo, invece, che egli volesse asserire che Verdi indagò in profondità i significati dei testi liturgici e che li seppe sapientemente amplificare con la musica per trasportarli agli ascoltatori. Manzoni, uomo di fede, non poteva ricevere omaggio migliore.

È utile conoscere anche quanto Verdi scrisse per ottenere una corretta comprensione ed esecuzione del Requiem. Il 26 aprile 1874, durante la preparazione, Verdi scrisse a Ricordi: «Come! Non avete ancora cominciato le prove dei Cori? Ah vi fidate un po’ troppo! Capisco che sarà facile finché vorrete, ma vi sono intendimenti di espressione, e soprattutto di carattere che non sono facili. Voi capirete meglio di me che non bisogna cantare questa Messa come si canta un’opera, e quindi i coloriti che possono essere buoni al Teatro, non mi accontenteranno affatto affatto». A distanza di quasi un anno dalla prima, il 5 marzo 1875 Verdi si raccomandò al mezzosoprano Waldmann per il quale scrisse un nuovo brano sulle parole «Liber scriptus»: «voi sapete che ho scritto un solo per voi. È facile facilissimo come nota e come musica, ma sapete che vi sono sempre delle intenzioni su cui bisogna pensare». È fondamentale, quindi, conoscere i significati dei testi del rito funebre cattolico.

Nell’iniziale andamento discendente dei violoncelli nel «Requiem» è identificabile il prostrarsi a terra del fedele che riconosce la sua condizione di peccatore preparandosi all’invocazione del riposo eterno per tutti i defunti. Diverse sono le note che questa melodia ha in comune con il corale Aus tiefer Noth schrei’ ich zu dir (salmo 130 De profundis) e, nel coro successivo, è coinvolgente l’elaborazione della melodia «Te decet hymnus» della Messa da Requiem gregoriana: la preparazione personale e la supplica intima sono seguite dal canto collettivo dell’Inno nel rispetto della tradizione cattolica: il coro a cappella. La sofferenza derivante dalla consapevolezza della propria situazione è riscontrabile nel «Kyrie» dalla sovrapposizione dell’andamento ascendente dell’invocazione del perdono dei peccati affidato al coro con il cromatismo discendente affidato agli strumenti gravi dell’orchestra: una moltitudine di anime che anelano in corpi che si consumano.

Il vortice di suoni e i colpi di grancassa che caratterizzano l’inizio del «Dies irae», descrivono la Sequenza che precede il Vangelo. È la morsa di fuoco che divora e fa cadere Babilonia, la città simbolo del male contrapposta alla Gerusalemme celeste. Appartiene a esso anche il suono avvolgente e trionfante delle trombe del «Tuba mirum» che sembra voler condurre gli ascoltatori innanzi al trono del Giudice insieme ai defunti risorti. Il successivo movimento claudicante affidato all’orchestra nel «Mors stupebit» ben concretizza nella mente dell’ascoltatore l’allontanamento definitivo della morte introdotta nel mondo dal diavolo, per invidia (Sapienza 2: 23-24). Nel «Dies irae» mi piace ricordare anche altre situazioni. Nel «Liber scriptus» la ripetizione della parola «Nil», isolata con pause sempre più angosciate, ci ricorda che nessun espediente potrà nascondere le nostre mancanze e che nulla rimarrà impunito. Nel «Lacrimosa» il movimento cadenzato dei violoncelli e contrabbassi amplifica lo stato d’animo dei dannati, ora consapevoli della pena eterna che li attende, mentre le appoggiature del soprano nel registro acuto rievocano il dispiacere degli eletti nell’immaginare le imminenti sofferenze dei peccatori. Anche nel «Dies irae» la presenza del canto gregoriano è affascinante: il frammento musicale che funge da collegamento di alcune sezioni, infatti, deriva dall’elaborazione dell’omonimo brano della Messa da requiem gregoriana.

Non si dimentichi la divisione del coro in due blocchi e il cromatismo orchestrale nel «Sanctus» che simboleggiano tutti gli elementi del cielo e della terra che uniti lodano il Signore, Dio dell’universo. Organico e procedimento musicale utilizzati più avanti negli anni per il «Te Deum».

Il movimento parallelo in ottava dei solisti nell’«Agnus Dei» esprime il concetto teologico della doppia natura di Gesù, l’Agnello di Dio: quella divina affidata al registro acuto del soprano e quella umana affidata al registro mediano del contralto. Affascinante è la struttura del brano che richiama la disposizione delle immagini nelle tele raffiguranti la crocifissione. Il mio personale pensiero corre al dipinto del 1579 di Vincenzo Campi collocato nell’abside dell’Oratorio della Santissima Trinità di Busseto dove Verdi e Margherita Barezzi si unirono in matrimonio nel 1836. La melodia della doppia natura di Gesù è sviluppata sull’immagine rarefatta della Trinità rappresentata dalle tre sezioni del brano. Nella prima invocazione l’Agnello di Dio è messo in relazione all’eterno Padre, la cui maestosa austerità è rappresentata dal coro e dell’orchestra che eseguono all’unisono la melodia dei solisti. Nella seconda, in Do minore - caratterizzata dai sospiri affidati al flauto e al clarinetto - seguita dalla serena risposta corale in Do maggiore, si avverte la sofferenza provata da Dio nella vita terrena, nelle vesti di Figlio, e il suo ritorno al cielo. Nella terza sezione l’etereo movimento dei tre flauti sovrapposti ai solisti ricorda lo Spirito santo.

Nell’introduzione del «Lux aeterna», l’antifona alla comunione (che nel rito del 22 maggio 1874 non fu distribuita), il tremolo dei violini imita l’instabilità della luce delle candele, la debole luce che l’uomo possedeva per illuminare i riti religiosi, condizione citata anche da Spagnolo nella sua recensione. Il brano è caratterizzato dall’assenza del soprano, voce acuta che abbiamo visto simboleggiare il divino, e dalla presenza nel registro grave del ritmo caratteristico delle marce funebri. Elementi che ricordano la misera condizione umana.

È quindi cantato il «Libera Me», preghiera per la salvezza personale, in sostituzione de «In paradisum deducant Te Angeli» cantato nella Messa del funerale. Nella parte del soprano solista, una persona che emerge dalla collettività, mi è spontaneo intravedere il Maestro, così come lo avverto nella «Voce sola» nascosta alla vista del pubblico al termine del «Te Deum». Coinvolgente, per coloro che conoscono il Libro dell’Apocalisse, è la ripetizione del «Requiem» iniziale della Messa nella parte centrale di questo brano. La delicatezza della nuova versione a cappella e in una tonalità più alta rispetto alla precedente, richiama alla mente la frase del Supremo Giudice, pronunciata dal suo trono nell’ora del giudizio universale, dopo la condanna dei peccatori al fuoco eterno e la discesa dal cielo della nuova Gerusalemme: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». L’angoscia iniziale è trasfigurata in un’estatica serenità perché nella nuova città «non vi sarà più morte, né lutto, né grido, né pena esisterà più, perché il primo mondo è sparito». Dopo una «lunga pausa», quasi a indicare il ritorno alla realtà, il soprano manifesta nuovamente la sua angoscia provocata dal timore di non avere accesso al paradiso. Le parole finali «Libera me, libera me», pianissimo in unisono con il coro, riconducono il pensiero all’immagine del fedele prostrato a terra, come all’inizio del «Requiem»: là per domandare la salvezza di tutti i defunti, qui per supplicare la propria.

Fra le recensioni che seguirono le prime esecuzioni milanesi, oltre alle già citate parole di Spagnolo «quelle melodie sono pur sempre la glorificazione, l’apoteosi della fede», meritano la menzione due frammenti degli articoli apparsi su La Lombardia e sul Pungolo. Frasi che accostate aiutano a comprendere questa ricerca delle «intenzioni su cui bisogna pensare» all’interno del Requiem: «Queste armoniose melodie di Verdi, senza vestire quel convenzionale carattere che suol darsi alla musica religiosa, sono ben lontane dall’aver senso e forma teatrale», «ecco come si può congiungere la espressione alla scienza, la passione allo studio, ecco come si può elevare la musica sacra, rendendola interprete efficace e potente del sentimento umano».

 

In foto: Il Maestro Rizzo fotografato da Rino Sivelli durante un recente concerto presso l'Oratorio della Santissima Trinità a Busseto

Sottoscrivi questo feed RSS

NOTA! Questo sito utilizza solo cookies tecnici strettamente necessari al suo funzionamento, NON sono presenti cookies di tracciamento dell'utente

Puoi "Approvare" o leggere le note tecniche di riferimento... Per saperne di piu'

Approvo

INFORMATIVA COOKIE POLICY PER IL SITO WEB

Titolare del Trattamento: FONDAZIONE SAN DONNINO

Sede: Piazza Grandi n. 16, Fidenza (PR).

Contatti e recapiti: e-mail: il-risveglio@diocesifidenza.it Tel: 0524/522584

Il Titolare del Trattamento è responsabile nei Suoi confronti del legittimo e corretto uso dei Suoi dati personali e potrà essere contattato per qualsiasi informazione o richiesta in merito a tale trattamento.

COOKIE

Cosa sono?

Un cookie è un file che viene scaricato nel pc, tablet, smartphone o altro terminale (di seguito, il "Dispositivo") quando si accede ad una pagina web o applicazione.

I cookies permettono di memorizzare e recuperare informazioni sulle abitudini di navigazione o sul dispositivo dal quale l’utente accede, generalmente in forma anonima e, a seconda delle informazioni che contengono, se quest’ultimo è precedentemente registrato, in modo da riconoscerlo come utente o cliente.

Le informazioni possono riferirsi a diversi parametri quali il numero delle pagine visitate, la lingua, il luogo dal quale si accede, il numero dei nuovi utenti, la frequenza e ripetitività delle visite, la durata della visita, il browser o il dispositivo tramite il quale ci si collega, ecc…

Cookie Tecnici

Questo sito utilizza i c.d. Cookie “Tecnici” al solo fine di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete elettronica, o nella misura strettamente necessaria al fornitore di un servizio esplicitamente richiesto dall’Utente, al fine di erogare tale servizio.

I cookie di questo tipo sono necessari per il corretto funzionamento di alcune aree del sito e comprendono:

  • Cookie Persistenti, che non vengono distrutti subito dopo la chiusura del Browser, ma rimangono fino ad una data di scadenza preimpostata;
  • Cookie di Sessione, distrutti anch’essi subito dopo la chiusura del Browser.

Questi cookie evitano il ricorso ad altre tecniche informatiche potenzialmente pregiudizievoli per la riservatezza della navigazione degli utenti e non consentono l’acquisizione dei dati personali identificativi dell’utente.

In assenza di tali cookie, il sito o alcune porzioni di esso potrebbero non funzionare correttamente. Pertanto, vengono sempre utilizzati, indipendentemente dalle preferenze dall'utente.

Cookie di Profilazione:

Sono volti a creare profili relativi all’utente e vengono utilizzati al fine di inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze manifestate dallo stesso nell’ambito della navigazione in rete. In ragione della particolare invasività che tali dispositivi possono avere nell’ambito della sfera privata degli utenti, la normativa europea e italiana prevede che l’utente debba essere adeguatamente informato sull’uso degli stessi ed esprimere così il proprio valido consenso.

Cookie di terze parti

Questi cookie sono utilizzati al fine di raccogliere informazioni sull’uso del Sito da parte degli utenti in forma anonima quali: pagine visitate, tempo di permanenza, origini del traffico di provenienza, provenienza geografica, età, genere e interessi ai fini di campagne di marketing. Questi cookie sono inviati da domini di terze parti esterni al Sito.

Cookie per integrare prodotti e funzioni di software di terze parti

Questa tipologia di cookie integra funzionalità sviluppate da terzi all’interno delle pagine del Sito come le icone e le preferenze espresse nei social network al fine di condivisione dei contenuti del sito o per l’uso di servizi software di terze parti (come i software per generare le mappe e ulteriori software che offrono servizi aggiuntivi). Questi cookie sono inviati da domini di terze parti e da siti partner che offrono le loro funzionalità tra le pagine del Sito.

L’utente può, liberamente ed in qualsiasi momento, configurare i suoi parametri di privacy in relazione all’installazione ed uso di Cookies, direttamente attraverso il suo programma di navigazione (browser).

Elenco cookie

Questo sito utilizza solo cookies tecnici strettamente necessari al suo funzionamento, NON sono presenti cookies di tracciamento dell'utente.

Ci riserviamo di aggiornare ed integrare tale tabella nel caso dovessimo utilizzare ulteriori cookies