Il premio "Magister Docet" 2022
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Oggi sono condotti qui “tutti i vostri fratelli da tutte le genti”, quelli i cui nomi portiamo ben scritti nel nostro cuore e i tanti che ci precedono nella strada per la festa senza fine ad iniziare dal servo di Dio Luigi Giussani che ricordiamo nel centenario della sua nascita. Ci guardano dal cielo e noi li guardiamo in un unico orizzonte infinito di amore. Quanto è vero che non si può avere Dio per Padre se non abbiamo la Chiesa come madre! E la Chiesa non è un’entità impalpabile, astratta, diafana ma assume i tratti, umani e spirituali, della nostra esperienza, della carne, del carisma di questa chiamata che ci fa riconoscere il dono che siamo. «Se il Verbo si è fatto carne, è in una carne che noi lo troviamo, identicamente», diceva Giussani, e quindi non “un devoto ricordo o un vago sentimento di pietà per Gesù”. Che tristezza, anche, i cristiani figli di sé stessi, che scambiano individualismo per maturità, che contrappongono l’appartenenza alla coscienza, la comunione alla responsabilità, un legame forte alla libertà interiore. Ecco la bellezza di essere qui aiuta tutti noi a godere della comunione che ci unisce tra noi e con la Chiesa tutta. Per capirla e aiutarla deve “approfondirsi nella fede personale, nel rapporto personale con Cristo e Dio”, non viceversa, cercando “prima di tutto aprirci a noi stessi, accorgerci vivamente delle nostre esperienze, guardare con simpatia l’umano ch’è in noi, prendere in considerazione quello che siamo veramente”.
Il nostro è un padre che “corregge colui che ama”. Dio ci tratta da figli, non da estranei; da padre, non da accompagnatore distratto che lascia fare o da asettico giudice che osserva e sentenzia. Il padre non coltiva il sospetto, non investe con il vento gelido di un giudizio distaccato, ma ci mette davanti a noi stessi, aiutandoci a scegliere, a ritrovarci, aspettando che siamo noi a raggiungere la sua e nostra casa per poterci abbracciare e renderci di nuovo padroni di noi stessi. Scriveva Péguy che il nostro Padre non ci possiede, ma desidera solo che cominciamo ad amarlo come uomini, liberamente, gratuitamente, aspettando l’ora segreta “quando i suoi figli cominciano a diventare uomini, / Liberi / E lui stesso trattato come un uomo, / Libero, quando la sottomissione precisamente cessa e quando i suoi figli divenuti uomini / L’amano”. E per ottenerci questa libertà, questa gratuità ha sacrificato tutto. Per questo “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Gesù non allarga la porta dell’amore tanto da non significare più nulla. Non ne fa una su misura, perché Lui è la misura, la porta. Gesù guardò con amore l’uomo ricco ma questi pensò che fosse una porta troppo stretta lasciare tutto perché il suo cuore era nelle ricchezze e non capì l’amore del maestro, la sua passione che conquista il cuore e fa sentire nel cuore la “vibrazione ineffabile e totale”. È una porta stretta per le passioni tristi e epidermiche della nostra generazione. La porta della gratuità è stretta in un mondo dove decide la convenienza individuale o di gruppo, ma dopo scopri la libertà dell’amore. La porta del perdono è stretta all’inizio, ma poi apre a ritrovare se stessi e il fratello. La porta è stretta per chi pensa di provarne infinite senza imparare mai ad amare per davvero. “La cultura di oggi ritiene impossibile conoscere, cambiare sé stessi e la realtà “solo” seguendo una persona”, diceva Giussani. L’esistenza di una porta e per di più stretta infastidisce uomini come noi, allettati dal facile e dal rapido, convinti di avere diritto a tutto senza sacrificio, perdendosi davanti alle prime difficoltà. Gesù per primo passerà per la porta stretta del non salvare sé stesso, di bere il calice e di amare fino alla fine. È la porta che passa chi ama, chi ha una passione per cui “l’istante non è più banalità”, per chi non vuole “vivere inutilmente”, come diceva Giussani. La passano i piccoli, i peccatori, i mendicanti della vita, i sognatori che non si arrendono al vuoto dell’amore e alla depressione escatologica, cioè al vivere senza speranza. È la porta che si apre a quanti si mettono in cammino da oriente e occidente, non pensano di essere loro al centro e cercano Gesù e il suo prossimo. La porta è all’inizio stretta ma poi diventa incredibilmente larga, si apre all’infinito, tanto da raggiungere il mondo intero, da farci entrare nel regno dei cieli, cioè nella felicità con tutti. Entriamo per questa porta quando condividiamo nella caritativa quello che abbiamo con chi non lo ha; quando liberiamo qualcuno dalla tortura della solitudine, quando rendiamo amato il soffio della vita accompagnandolo dal suo inizio fino alla sua fine, quando invitiamo a pranzo chi non può restituircelo. La porta larga poi diventa, invece, terribilmente stretta, perché riduce tutto all’io! Il mondo e la Chiesa hanno bisogno della passione irriducibile e forte per l’umano, piena di Cristo e che riconosce in questo il desiderio di Dio. Gesù ha passato la porta stretta, “si è reso finito, per liberare la nostra finitezza e “condurla nella dimensione della sua infinità, per venire incontro alle esigenze del nostro essere”, per potere dire anche noi “Dio veramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco ora, comprendo chi sono”.
“Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio”. Dio sia benedetto e sia benedetta questa nostra vita, da spendere, questa casa da costruire e amare con tutto noi stessi, questo mondo drammatico, pieno di sofferenza e di morte, di spreco e povertà, per cui avere la compassione di Gesù. È quella che ha vissuto e trasmesso Giussani che appena ordinato prete scrisse a un amico: «È da parecchi anni che io non piango più che per due motivi: il pensiero dell’infelicità eterna dei miei fratelli uomini – il pensiero dell’infelicità terrena degli uomini, simbolo di quella eterna. Noi Gesù ha scelto per gridare nel mondo il suo Amore e la felicità degli uomini: la grande e inenarrabile felicità che ci attende». È possibile. È il nostro ringraziamento per sentirla nel cuore. Sia la passione di ognuno per i nostri “Fratelli tutti”.
Santa Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo, puro e limpido come acqua di sorgente. Ottienimi un cuore semplice, che non si ripieghi ad assaporare le proprie tristezze; un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione; un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene e non serbi rancore di alcun male. Formami un cuore dolce e umile che ami senza esigere di essere riamato, contento di scomparire in altri cuori, sacrificandosi davanti al Tuo Divin Figlio; un cuore grande e indomabile, così che nessuna ingratitudine lo possa chiudere e nessuna indifferenza lo possa stancare; un cuore tormentato dalla gloria di Cristo, ferito dal Suo amore, con una piaga che non si rimargini se non in cielo.
(Foto: Siciliani-Gennari/SIR)
ALL’OMBRA DELL’ABSIDE DELLA CHIESA DI CASTELGUELFO
CONCERTO LIRICO E VISITA GUIDATA
La chiesa romanica di Castelguelfo, che si incontra sulla Via Emilia a metà strada tra Parma e Fidenza, oltre che luogo di culto è un importante monumento medievale risalente al 1230 (“ecclesia de Burgeto de Taro”), punto di riferimento per i pellegrini diretti a Roma. La Chiesa era dipendente dall’Abbazia Benedettina di S. Maria Maddalena di Vézelaj in Borgogna (Francia), da cui prende il nome; è stata poi patronato dei Pallavicino ed ebbe anche la protezione ducale; essa conserva nell’abside romanico bellissimi affreschi del ‘400. La chiesa è un gioiello artistico che la comunità locale intende valorizzare e far conoscere ad un pubblico sempre più vasto: perciò il Gruppo “Amici di Castelguelfo”, in collaborazione con la parrocchia di Castelguelfo – Pontetaro e con l’Associazione “Famiglia Aperta”, anche quest’anno ha organizzato alcuni eventi inseriti nel programma di “Estate delle pievi” ideato dalla Provincia di Parma, con il patrocinio e contributo del Comune di Fontevivo ed il sostegno della Ditta Azzali.
Il primo evento si terrà domenica 28 agosto: alle ore 17 sarà possibile visitare la chiesa con una visita guidata a cura della dott.ssa Giulia Greci, guida turistica certificata che farà un inedito excursus fra architettura, arte e simbologia della Pieve e del territorio circostante, nella sua valenza storica, culturale e religiosa.
Alle ore 18 nel cortile della chiesa, all’ombra del magnifico abside romanico, verrà eseguito il recital lirico (e non solo) “Mosaico Musicale” a cura del “Trio Verdi”: il Soprano Angela Gandolfo accompagnata al pianoforte da Roberto Barrali e da Giorgio Fiori al violoncello.
Il programma prevede romanze d’opera che spaziano dal verdiano “Ballo in maschera” alla “Norma” di Bellini, passando per Faurè, Lehar e Wagner. Non mancheranno alcuni brani musicali tra cui la “Sonata per violoncello e pianoforte” di Chopin e brani del celebre “Il Carnevale degli animali”.
Ingresso libero e gratuito, consigliata la prenotazione per il ridotto numero di posti. In caso di maltempo, il concerto si terrà all’interno della chiesa.
E' vivamente consigliato l’utilizzo della mascherina.
Prenotazione consigliata via mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., o whatsapp: 349-4551781.
Dopo aver tenuto a Parma nei giorni scorsi il concerto intitolato “La rinascita”, il pianista Ramin Bahrami, definito dalla critica “un poeta della tastiera, un mago del suono…” e considerato a livello internazionale tra i più interessanti e originali interpreti viventi della musica di Johann Sebastian Bach, ha voluto concedersi una due giorni bussetana.
Per il maestro d’origine iraniana la visita nei luoghi verdiani ha significato la concretizzazione di un sogno per molto tempo coltivato e finalmente divenuto realtà. Avverarlo è stato possibile grazie ai buoni uffici del vicepresidente dell’associazione “Amici di Verdi”, professor Emilio Mazzera e il tramite ne è stata Viliana De Giorgi, cugina dell’indimenticata professoressa Maura Vigevani, a lungo docente al Liceo Scientifico “D’Annunzio” di Fidenza. Nativa di Sant’Agata, ma ora residente a Fano, è ammiratrice e amica dell’artista, che ha abitato per anni nella città marchigiana e molte volte le aveva parlato del suo grande desiderio di recarsi nella terra di Verdi. Perciò Emilio e Viliana hanno accompagnato il quarantaseienne musicista a visitare la Casa Natale di Roncole e la chiesa di S. Maria degli Angeli, dove è rimasto colpito dal gruppo statuario del Compianto su Cristo morto di Guido Mazzoni, il capolavoro rinascimentale che si ritiene abbia ispirato al genio verdiano la Vergine degli Angeli.
(In foto: il M.o Bahrami con alcuni consiglieri degli "Amici di Verdi" nel Salone Barezzi. In piedi il Vicepresidente Emilio Mazzera)
Nel capoluogo, tappe fondamentali nel percorso di visita dei luoghi verdiani sono stati il Salone e il Museo di Casa Barezzi. Lo storico salone, sede della Filarmonica Bussetana fondata da Antonio Barezzi, accolse infatti le prime composizioni ed esibizioni pubbliche di Verdi studente e poi giovane maestro. Vide anche nascere l’amore per Margherita Barezzi, la prima moglie di Verdi. Il compositore continuò a frequentare assiduamente la casa anche dopo la vedovanza e durante un soggiorno ospite del suocero vi scrisse alcune pagine de I due Foscari (1844). Lì, dove il giovane Verdi ebbe la sua prima formazione musicale e affettiva, il maestro Bahrami è stato accolto dall’intero consiglio direttivo deli Amici di Verdi e guidato dalla presidente Elena Bonilauri in un’appassionante visita al Museo, ricco di cimeli lettere autografe, ritratti, documenti e manifesti.
(Ramin Bahrami visita con Elena Bonilauri il Museo di Casa Barezzi)
Nel Salone, l'illustre maestro non ha mancato di suonare brevemente il pianoforte abitualmente utilizzato nelle manifestazioni concertistiche e pure l’ottocentesco fortepiano viennese Tomaschek, meritevole di restauro. Sempre scortato dalla delegazione verdiana, si è poi recato alla Biblioteca di Busseto della Fondazione Cariparma e, dopo aver visitato gli ambienti storici del Monte di Pietà e le sale monumentali della biblioteca, si è soffermato con il bibliotecario Cristiano Dotti su alcuni autografi riguardanti la concessione della borsa di studio a Giuseppe Verdi da parte del Monte di Pietà di Busseto. Il professor Dino Rizzo ha invece illustrato alcune pagine musicali del fondo della Filarmonica bussetana con una particolare attenzione alla Messa di Gloria riconosciuta di mano del giovane Giuseppe Verdi.
Durante la visita il maestro Bahrami ha, inoltre, gentilmente autografato i suoi libri presenti in biblioteca. Nel congedarsi, entusiasta dell’accoglienza e dei tanti tesori che ha potuto cogliere nella visita alla cittadina, il maestro Bahrami ha confermato che – compatibilmente con gli impegni internazionali – sarà per lui emozionante tornare a Busseto, in futuro, per un suo concerto. Per gli Amici di Verdi incontrare una personalità come Ramin Bahrami è stata un’esperienza significativa e memorabile. Egli, figlio di un oppositore politico del regime di Ruhollah Khomeyni e di recente avvicinatosi alla fede cattolica, si è infatti accostato alla realtà storica e culturale bussetana con modestia e apertura mentale, apprezzandone, da uomo pronto a confrontarsi con il Bello, ovunque esso si trovi, tutti i minimi aspetti compresa l’accoglienza sincera e cordiale che lo ha fatto sentire, a suo dire, “come in famiglia”.
Alessandra Mordacci
Ogni giovedì a partire dalle ore 16.30 negli spazi dell’oratorio della parrocchia di San Donnino Martire (Cattedrale) in via don Minzoni a Fidenza oppure presso il campetto dell’Ausiliatrice (situato nei pressi dello Stirone in via Rossini) avrà luogo il progetto di solidarietà “Sferruzziamo insieme” rivolto ai ragazzi. I prodotti ricavati saranno poi donati alle famiglie biosognose del territorio.
Grandi risultati per le allieve di Studio Danza Fidenza. Come ogni anno, sotto la guida di Cinzia Longhi, le allieve si recano allo stage estivo di Alassio organizzato dal Centro Internazionale di Balletto Ucraina di Milano (CIBU).
Allo stage, che si è svolto dal 3 al 9 luglio, hanno partecipato 7 allieve: Sofia Bianchi, Bianca Delnevo, Aurora Negri, Greta Pastinesi, Alice Rizzo, Giulia Roncaglia e Vittoria Vezzosi. Hanno studiato danza classica con Egor Scepaciov, primo ballerino dell’Opera di Moldavia, Nadia Scepaciova, prima ballerina dell’opera di Moldavia, Oksana Belyaeva, prima ballerina e direttrice didattica CIBU e Ariel Romero Koch del Teatro di Buenos Aires per la danza moderna. Alla fine della settimana le ragazze hanno preso parte al concorso “Etoile” sempre organizzato da CIBU e sotto la guida dei maestri sono state preparate ad affrontare brani del repertorio classico. Si sono distinte: Alice Rizzo con il II° premio per classico intermedio con borsa di studio e invito all’audizione per Accademia Ucraina di Balletto di Milano; Greta Pastinesi II° premio per classico primo livello con borsa di studio e invito all’audizione per AUB; Bianca Delnevo, III° premio classico primo livello con borsa di studio; Sofia Bianchi, Aurora Negri, Vittoria Vezzosi e Giulia Roncaglia si sono distinte per l’interpretazione e la preparazione tecnica. Gli insegnanti hanno elogiato la preparazione e la disciplina impartite allo Studio Danza Fidenza.
Un altro allievo, Lorenzo Vita, seguito da Erica Brindisi per danza contemporanea, ha riportato eccellenti risultati al corso di danza terapia metodo Fux tenutosi a Milano.
Il nome di Fidenza si sta distinguendo nel campo della danza grazie ai talenti che vengono coltivati presso lo Studio Danza Fidenza, che da 37 anni prepara giovani danzatori impegnati professionalmente presso importanti compagnie internazionali o iscritti presso Accademie europee.
Foto: Carpediem
Pubblichiamo di seguito il Messaggio di Papa Francesco in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per la cura del Creato (1° settembre 2022).
Cari fratelli e sorelle!
“Ascolta la voce del creato” è il tema e l’invito del Tempo del Creato di quest’anno. Il periodo ecumenico inizia il 1° settembre con la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato e si conclude il 4 ottobre con la festa di San Francesco. È un momento speciale per tutti i cristiani per pregare e prendersi cura insieme della nostra casa comune. Originariamente ispirato dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, questo tempo è un’opportunità per coltivare la nostra “conversione ecologica”, una conversione incoraggiata da San Giovanni Paolo II come risposta alla “catastrofe ecologica” preannunciata da San Paolo VI già nel 1970.
Se impariamo ad ascoltarla, notiamo nella voce del creato una sorta di dissonanza. Da un lato, è un dolce canto che loda il nostro amato Creatore; dall’altro, è un grido amaro che si lamenta dei nostri maltrattamenti umani. Il dolce canto del creato ci invita a praticare una «spiritualità ecologica» (Lett. enc. Laudato si’, 216), attenta alla presenza di Dio nel mondo naturale. È un invito a fondare la nostra spiritualità sull’«amorevole consapevolezza di non essere separati dalle altre creature, ma di formare con gli altri esseri dell’universo una stupenda comunione universale» ( ibid., 220). Per i discepoli di Cristo, in particolare, tale luminosa esperienza rafforza la consapevolezza che «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» ( Gv 1,3). In questo Tempo del Creato, riprendiamo a pregare nella grande cattedrale del creato, godendo del «grandioso coro cosmico» di innumerevoli creature che cantano le lodi a Dio. Uniamoci a San Francesco d’Assisi nel cantare: “Sii lodato, mio Signore, con tutte le tue creature” (cfr Cantico di frate sole). Uniamoci al Salmista nel cantare: «Ogni vivente dia lode al Signore!» ( Sal 150,6).
Purtroppo, quella dolce canzone è accompagnata da un grido amaro. O meglio, da un coro di grida amare. Per prima, è la sorella madre terra che grida. In balia dei nostri eccessi consumistici, essa geme e ci implora di fermare i nostri abusi e la sua distruzione. Poi, sono le diverse creature a gridare. Alla mercé di un «antropocentrismo dispotico» (Laudato si’, 68), agli antipodi della centralità di Cristo nell’opera della creazione, innumerevoli specie si stanno estinguendo, cessando per sempre i loro inni di lode a Dio. Ma sono anche i più poveri tra noi a gridare. Esposti alla crisi climatica, i poveri soffrono più fortemente l’impatto di siccità, inondazioni, uragani e ondate di caldo che continuano a diventare sempre più intensi e frequenti. Ancora, gridano i nostri fratelli e sorelle di popoli nativi. A causa di interessi economici predatori, i loro territori ancestrali vengono invasi e devastati da ogni parte, lanciando «un grido che sale al cielo» (Esort. Ap. postsin. Querida Amazonia, 9). Infine, gridano i nostri figli. Minacciati da un miope egoismo, gli adolescenti chiedono ansiosi a noi adulti di fare tutto il possibile per prevenire o almeno limitare il collasso degli ecosistemi del nostro pianeta.
Ascoltando queste grida amare, dobbiamo pentirci e modificare gli stili di vita e i sistemi dannosi. Sin dall’inizio, l’appello evangelico «Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino!» (Mt 3,2), invitando a un nuovo rapporto con Dio, implica anche un rapporto diverso con gli altri e con il creato. Lo stato di degrado della nostra casa comune merita la stessa attenzione di altre sfide globali quali le gravi crisi sanitarie e i conflitti bellici. «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (Laudato si’, 217).
Come persone di fede, ci sentiamo ulteriormente responsabili di agire, nei comportamenti quotidiani, in consonanza con tale esigenza di conversione. Ma essa non è solo individuale: «La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria» (ibid., 219). In questa prospettiva, anche la comunità delle nazioni è chiamata a impegnarsi, specialmente negli incontri delle Nazioni Unite dedicati alla questione ambientale, con spirito di massima cooperazione.
Il vertice COP27 sul clima, che si terrà in Egitto a novembre 2022, rappresenta la prossima opportunità per favorire tutti insieme una efficace attuazione dell’Accordo di Parigi. È anche per questo motivo che ho recentemente disposto che la Santa Sede, a nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, aderisca alla Convenzione-Quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici e all’Accordo di Parigi, con l’auspicio che l’umanità del XXI secolo «possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità» ( ibid., 165). Raggiungere l’obiettivo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C è alquanto impegnativo e richiede la responsabile collaborazione tra tutte le nazioni a presentare piani climatici, o Contributi Determinati a livello Nazionale, più ambiziosi, per ridurre a zero le emissioni nette di gas serra il più urgentemente possibile. Si tratta di “convertire” i modelli di consumo e di produzione, nonché gli stili di vita, in una direzione più rispettosa nei confronti del creato e dello sviluppo umano integrale di tutti i popoli presenti e futuri, uno sviluppo fondato sulla responsabilità, sulla prudenza/precauzione, sulla solidarietà e sull’attenzione ai poveri e alle generazioni future. Alla base di tutto dev’esserci l’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente che, per noi credenti, è specchio dell’«amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino». La transizione operata da questa conversione non può trascurare le esigenze della giustizia, specialmente per i lavoratori maggiormente colpiti dall’impatto del cambiamento climatico.
A sua volta, il vertice COP15 sulla biodiversità, che si terrà in Canada a dicembre, offrirà alla buona volontà dei governi l’importante opportunità di adottare un nuovo accordo multilaterale per fermare la distruzione degli ecosistemi e l’estinzione delle specie. Secondo l’antica saggezza dei Giubilei, abbiamo bisogno di «ricordare, tornare, riposare e ripristinare». Per fermare l’ulteriore collasso della “rete della vita” – la biodiversità – che Dio ci ha donato, preghiamo e invitiamo le nazioni ad accordarsi su quattro principi chiave: 1. costruire una chiara base etica per la trasformazione di cui abbiamo bisogno al fine di salvare la biodiversità; 2. lottare contro la perdita di biodiversità, sostenerne la conservazione e il recupero e soddisfare i bisogni delle persone in modo sostenibile; 3. promuovere la solidarietà globale, alla luce del fatto che la biodiversità è un bene comune globale che richiede un impegno condiviso; 4. mettere al centro le persone in situazioni di vulnerabilità, comprese quelle più colpite dalla perdita di biodiversità, come le popolazioni indigene, gli anziani e i giovani.
Lo ripeto: «Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie estrattive – minerarie, petrolifere, forestali, immobiliari, agroalimentari – di smettere di distruggere i boschi, le aree umide e le montagne, di smettere d’inquinare i fiumi e i mari, di smettere d’intossicare i popoli e gli alimenti».
Non si può non riconoscere l’esistenza di un «debito ecologico» (Laudato si’, 51) delle nazioni economicamente più ricche, che hanno inquinato di più negli ultimi due secoli; esso richiede loro di compiere passi più ambiziosi sia alla COP27 che alla COP15. Ciò comporta, oltre a un’azione determinata all’interno dei loro confini, di mantenere le loro promesse di sostegno finanziario e tecnico per le nazioni economicamente più povere, che stanno già subendo il peso maggiore della crisi climatica. Inoltre, sarebbe opportuno pensare urgentemente anche a un ulteriore sostegno finanziario per la conservazione della biodiversità. Anche i Paesi economicamente meno ricchi hanno responsabilità significative ma “diversificate” (cfr ibid., 52); i ritardi degli altri non possono mai giustificare la propria inazione. È necessario agire, tutti, con decisione. Stiamo raggiungendo “un punto di rottura” (cfr ibid., 61).
Durante questo Tempo del Creato, preghiamo affinché i vertici COP27 e COP15 possano unire la famiglia umana (cfr ibid., 13) per affrontare decisamente la doppia crisi del clima e della riduzione della biodiversità. Ricordando l’esortazione di San Paolo a rallegrarsi con chi gioisce e a piangere con chi piange (cfr Rm 12,15), piangiamo con il grido amaro del creato, ascoltiamolo e rispondiamo con i fatti, perché noi e le generazioni future possiamo ancora gioire con il dolce canto di vita e di speranza delle creature.
foto: Archivio SIR
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