Il martire Donnino, sentinella nella notte
11 Qualcuno mi grida da Seir:
«Sentinella, che resta della notte?
Sentinella, che resta della notte?».
12La sentinella risponde:
«Viene il mattino e ancora la notte.
Se volete domandare, domandate, ritornate, venite» (Is 21,11-12).
L’oracolo profetico può aiutarci a discernere l’oggi della storia nella quale dimoriamo. Il tempo faticoso che l’umanità sta vivendo a causa della situazione bellica internazionale che tutti coinvolge senza distinzione alcuna, ci impone una riflessione da credenti per non cadere in osservazioni scontate e lamentose. A ciò si aggiungono ombre oscure che minacciano l’umanità e che Papa Francesco ben descrive nella Fratelli tutti. In questo frattempo caratterizzato dalla vulnerabilità e precarietà delle nostre vite è necessario che il discepolo dell’evangelo non rinunci a discernere il significato di tutto ciò alla luce della sapienza della parola di Dio. Nel testo di Isaia la notte evocata rimanda ad una situazione di angoscia, di tormento e di sofferenza a causa di una calamità che perdura e che non sembra annunciare un termine. In questa notte desolata in cui non si intravvede l’inizio del giorno, la profezia sembra alludere ad un nuovo evento ormai inaspettato dopo il lungo dominio straniero; da qui scaturisce la ragione dell’interrogativo rivolto alla sentinella: «Che resta della notte?». L’oggi della parola profetica trova un particolare riscontro nel quadro del cammino ecclesiale delle nostre comunità spesso dimoranti nello scoraggiamento e nella desolazione. Nondimeno il riferimento va alla realtà dei nostri vissuti urbani nelle città e nei paesi in questo tempo segnato dalla fragilità e da un senso di impotenza di fronte al prevaricare di situazioni che superano le nostre possibilità reali. I molteplici richiami di Papa Francesco ad un inderogabile discernimento evangelico nel contesto storico in cui viviamo, ne sono una eloquente testimonianza. A questa necessità non si possono frapporre deleghe a pensare né deroghe in attesa di tempi più favorevoli per elaborare soluzioni. Infatti, non è prioritario individuare vie d’uscita immediate, bensì cammini che impegnano in un processo di conoscenza della realtà complessa; è necessaria una riflessione umile e intelligente al fine di giungere a scelte umane e sapienziali.
Di quale notte si tratta? Anzitutto, è notte della persona imprigionata in una solitudine maledetta che la intristisce nel suo egoismo e nel suo disorientamento. È la notte della ricerca del successo effimero fine a se stesso. È la notte dell’inseguimento di una efficienza che non conosce né limiti né ostacoli calpestando la dignità dell’altro e la propria pur di raggiungere un illusorio quanto desolante risultato. In secondo luogo, si tratta della notte caratterizzata dalla ricerca della dominante del potere tecnocratico, scientifico ed economico come se fosse la risoluzione della complessità presente. Papa Francesco denuncia questa dimensione della notte che tutto riduce all’esclusivo criterio di valutazione scientifica ed economica. Davanti a questa sfida del mondo attuale la Chiesa non può tacere; essa deve affermare un netto no a un’economia «dell’esclusione e della inequità» che uccide «perché senza compassione dinanzi al grido di dolore degli altri» (Evangelii gaudium 53-54); altresì la Chiesa deve ribadire il suo «no alla nuova idolatria del denaro», che è la negazione del primato della persona umana, riducendola «ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo» (Evangelii gaudium 55). Un no va sottolineato anche nei confronti «dell’inequità che genera violenza» (Evangelii gaudium 59), disparità sociale, inganno nei confronti di quanti chiedono maggiore sicurezza illudendoli, giustificando l’uso delle armi e della repressione violenta, come unico argine per risolvere i conflitti che calpestano la dignità degli umani. In terzo luogo, si tratta del volto della notte della ricerca di una mondanità umana e spirituale che non conosce l’autenticità dell’amore, ma è espressione del dominio sull’altro, annullando la sua differenza, interpretata come un ostacolo al proprio emergere e dominare. È anche la notte della comunità. In una solitudine che rende schiavi di se stessi, il senso “dell’essere-con-l’altro” va perduto perchè ritenuto un ostacolo al proprio io. In tal senso si assiste all’emergere sconsiderato di sovranismi, di accentuazioni populistiche e demagogiche che inoculano la paura e la minaccia dell’altro, lo straniero individuato come la sintesi di tutti i mali e al quale attribuire tutte le responsabilità. Infine, si tratta della notte della fedeltà, della responsabilità circa la parola data e della verità. Al posto della fedeltà si è sostituita la convenienza in funzione di un interesse individuale, non della comunità e della societas.
La conclusione della profezia converge l’attenzione di chi ascolta sulla necessità del discernimento in vista di un ricominciare nella speranza. Ricominciare non è restaurare il dato preesistente. Ogni conversione domanda un ritorno nello stile di una audace speranza che procede oltre l’immediato. In questa prospettiva, anzitutto, è necessario ritornare a Dio, ripartire da lui e non vivere come se Dio non esistesse. Sul versante storico, sociale e politico, questo ricominciare non consiste semplicemente nel rivendicare una occupazione di posti nella realtà temporale e nell’aumentare un’efficiente presenza politica nella società, bensì nell’impegnarci in una ricostruzione delle coscienze secondo la sapienza dell’Evangelo. Per operare questo cammino di conversione è necessario, in terzo luogo, ribadire il primato dell’uomo interiore, il primato della spiritualità, rispetto ad un attivismo esasperato tutto teso all’arrogante visibilità di sé. L’uomo interiore è l’uomo nuovo, che impegna al meglio le sue facoltà nella direzione delle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. L’uomo nuovo è tale in relazione all’etica pubblica nella dimensione della verità, della lealtà, della ricerca del bene comune. L’uomo è nuovo anche quando è cosciente del proprio limite e, dunque, opera nell’umiltà. L’uomo nuovo è tale non solo quando è immerso nell’impegno per le realtà penultime, ma soprattutto quando guarda all’eterno nella speranza. Ciò avviene non per un disprezzo delle realtà temporali, ma perché dichiara che esse sono orientate ad un fine più grande, che racchiude il senso definitivo della storia. Questo sguardo all’eterno nell’orizzonte del tempo nuovo potrà intravvedere il giorno oltre l’intensità del buio della notte. Al contempo non si può dimenticare che la Chiesa e i cristiani non sono il regno di Dio realizzato; essi ne sono come il seme, il germe di inizio (Lumen gentium, 5). La Chiesa stessa racconta la sua identità e la sua missione evangelizzatrice nell’animazione cristiana delle realtà temporali. Questa, poi, è espressa nello stile sinodale, che comporta le modalità non del dominio o dell’imposizione, ma del dialogo, del confronto e della collaborazione al fine di raggiungere il bene comune mediante un processo di crescita, nel quale il tempo è superiore allo spazio. La verità può essere cercata insieme con quanti hanno responsabilità civile e amministrativa o appartengono a confessioni di fede altra, ma senza misconoscere o negoziare la propria identità di discepoli che camminano nella Chiesa del Signore dal volto missionario.
La testimonianza di S. Donnino martire di Cristo, sentinella nella notte della storia, custodisce la sua attualità che interpella ancora la comunità fidentina, chiamandola a vigilare nella oscurità del tempo presente, al fine di riconoscere il sorgere dell’alba di un nuovo mattino. Di questo splendore della luce dell’Evangelo, S. Donnino è stato avvolto; così egli ha indicato il cammino verso la speranza che non delude.
+ Ovidio Vezzoli
vescovo di Fidenza
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- Scritto da Martina Pacini